«Il fenomeno delle migrazioni, che oggi presenta aspetti critici che vanno gestiti con politiche organiche e lungimiranti, rimane pur sempre una ricchezza e una risorsa, sotto diversi punti di vista». A esprimersi in questi termini, ieri, è stato papa Francesco, rivolgendosi alle Caritas diocesane italiane. Da una parte, dunque, vi è l’esigenza di operare un sano discernimento sulla mobilità umana, affermando la globalizzazione dei diritti e dunque la
Res publica dei popoli. Dall’altra, è evidente la sottolineatura antropologica in riferimento alle migrazioni, dunque il riconoscimento della dignità della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio. Ecco che allora occorre privilegiare scelte che favoriscano sempre più l’integrazione tra i popoli.Si tratta di una sfida epocale che coincide con una fase storica segnata da sconvolgimenti d’ogni genere: dalle numerose guerre che insanguinano le periferie del mondo, all’esclusione sociale che penalizza tanta umanità dolente. Viene, pertanto, spontaneo domandarsi se, al di là delle polemiche sull’accoglienza, sull’identificazione dei migranti alle frontiere esterne e la loro ricollocazione tra i Paesi membri dell’Unione Europea, vi siano dei segnali di cambiamento. In effetti, in questi giorni, per iniziativa italiana, a Bruxelles si sta finalmente tornando a parlare di Africa.A questo proposito va ricordato che la Ue aveva lanciato lo scorso novembre, al vertice de La Valletta a Malta, un piano di azione per combattere le cause che generano le migrazioni forzate. Secondo un’analisi critica, il vertice maltese si risolse, purtroppo, in uno scambio negoziale per cui l’Europa metteva a disposizione finanziamenti per i governi africani chiedendo agli stessi un controllo delle frontiere più stringente. Non vi fu dunque, in quella circostanza, un vero e proprio impegno per lo sviluppo africano, ma piuttosto l’adozione di misure a breve termine per ridurre le migrazioni, esternalizzando il controllo rispetto al bacino del Mediterraneo. I finanziamenti messi allora a disposizione, oltre 1,8 miliardi di euro, furono poca cosa rispetto ai bisogni reali, venendo suddivisi in 4 anni e per ben 28 Paesi africani. Ecco che allora, la proposta del
Migration Compact, da parte del nostro governo, rappresenta, certamente, un rafforzamento di quello che dovrebbe essere l’impegno europeo nel continente africano, dal punto di vista soprattutto degli investimenti.Il giudizio, naturalmente, stando alla cronaca di queste ore, resta sospeso, soprattutto per quanto concerne gli strumenti, a proposito dei quali sarà necessario un approfondito, e probabilmente lungo, dibattito tra i Ventotto. Detto questo, però, è chiaro che gli Eurobond di cui molto si parla e che non pochi avversano, sono "un mezzo e non un fine" per risolvere la crisi dei migranti, come ha dichiarato lo stesso premier Matteo Renzi. Questo, in sostanza, significa che le misure da adottare non possono prescindere dai controlli multilaterali in grado di certificare l’allocazione degli investimenti e il loro buon fine. Occorre inoltre affrontare la questione della finanziarizzazione del debito africano nei confronti dei creditori privati che rischia di vanificare i processi di sviluppo. E cosa dire, poi, delle regole del commercio che penalizzano molti dei Paesi africani? Emblematico è il caso degli Epa (
Economic Partnership Agreements). I governi africani continuano a ripetere alle autorità di Bruxelles che i vantaggi per l’Europa sono evidentissimi, in termini ad esempio di privatizzazioni, mentre l’Africa è costretta a competere commercialmente contri i giganti dell’economia mondiale, senza avere i denari e gli strumenti per misurarsi con gli avversari.Una cosa è certa: il fenomeno migratorio è complesso e non deve essere strumentalizzato. Recenti studi mostrano che la crescita del reddito delle famiglie, non riduce le migrazioni ma, anzi, le acuisce (anche se le rende meno traumatiche). È solo quando si ridurrà significativamente la forbice tra Paesi ricchi e poveri, tra luoghi della sicurezza e realtà dell’arbitrio, che la mobilità diminuirà. Ecco perché il diritto a una vita migliore nei propri Paesi, deve essere comunque accompagnato dal sacrosanto, regolato e riumanizzato diritto a migrare.