L'impegno Onu e i casi virtuosi. Invertire ora il domino del degrado planetario
Fin dall’inizio della rivoluzione industriale, la relazione tra gli esseri umani e la natura è stata vista come un trionfo dei primi sulla seconda. Grazie alle innovazioni tecniche, illuminiamo paesi, costruiamo industrie e viaggiamo oltreoceano a una velocità inaudita. Con gli sviluppi dell’agricoltura è possibile sfamare un numero altissimo di persone e, in alcune parti del mondo, l’aspettativa di vita è più che raddoppiata. Per molti aspetti, però, sembra una vittoria di Pirro. L’utilizzo di combustibili fossili crea gas serra, scatenando una reazione a catena di cambiamenti climatici, alti livelli di inquinamento nell’aria e eventi climatici estremi, come alluvioni, ondate di caldo, siccità e incendi difficili da contenere. La rapida distruzione dell’habitat che ospita la fauna locale per colpa della deforestazione e dell’allevamento industriale rappresenta la causa dell’emergere di tre malattie infettive su quattro. Esse comprendono virus zoonotici quali influenza aviaria, Sars, Mers, ebola e, probabilmente, anche Covid-19, che il mondo continua a combattere a distanza di più di un anno dalla sua comparsa.
Questo è l’effetto domino del degrado ambientale. La preservazione dell’ambiente da sola non ci porterà dove dobbiamo andare. Gli otto principali tipi di ecosistema (terreni agricoli, foreste, bacini d’acqua dolce, oceani, montagne, praterie e savane, torbiere e città) si stanno tutti degradando. E proprio come in un domino, il deterioramento di un ecosistema ha un effetto a cascata su tutto il resto. Il sostentamento di almeno due miliardi di persone dipende direttamente da terreni coltivabili e da pascolo, mentre un terzo del terreno è ampiamente degradato a causa dell’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti e della creazione di zone a monocultura. Ciò, a sua volta, aumenta l’insicurezza alimentare e porta al degrado di altri ecosistemi per creare nuovi terreni da coltivare. L’espansione agricola e il disboscamento hanno portato a una diminuzione globale di 178 milioni di ettari di area forestale nei tre decenni scorsi: un’area grande cinque volte la Germania. Nel corso dell’ultimo mezzo secolo, l’utilizzo di acqua dolce è aumentato di circa il 600 per cento, e quattro miliardi di persone devono fare regolarmente i conti con il problema della scarsità idrica. Gli oceani e le forme di vita in essi contenute forniscono fino all’80% dell’ossigeno presente nell’atmosfera, ma le riserve ittiche stanno rapidamente collassando, un livello di inquinamento crescente dovuto alla plastica sta rendendo gli oceani tossici, mentre lo sbiancamento e l’acidificazione potrebbero far sparire le barriere coralline di tutto il mondo entro il 2100. Andamenti simili di degrado in altri ecosistemi stanno facendo vacillare sempre di più la nostra protezione ambientale, rendendoci vulnerabili alla tripla minaccia di cambiamento climatico, perdita di ambiente naturale, crescita di inquinamento e rifiuti.
Dobbiamo investire nel ripristino degli ecosistemi, ovvero promuovere sforzi come rimboschimento, imboschimento, rinaturalizzazione di ambienti e agricoltura rigenerativa. Nelle parole del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ciò è indispensabile per poter fare pace con la natura. Il ripristino è possibile su scala mondiale, come indicato su una relazione congiunta del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) e l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao). Le nazioni dovranno impegnarsi a rispettare gli accordi per ripristinare un miliardo di ettari di territorio deteriorato e stringere impegni simili per zone marine e costiere. I governi e i settori privati coinvolti devono triplicare i loro investimenti annui in soluzioni di tipo naturale entro il 2030 e quadruplicare entro il 2050 gli investimenti attuali di 133 miliardi di dollari.
Ma, oltre alle risorse fisiche, devono cambiare le menti e i cuori. Lo scopo dell’umanità non è di vincere sulla natura. Per creare un effetto domino positivo sulla natura, bisogna rendersi conto che ne facciamo parte anche noi, e cambiare le azioni negative che causano solo distruzione in azioni che portano cambiamenti positivi, le quali permetteranno alla natura e alle generazioni future di prosperare. Per quanto la maggior parte del mondo stia vivendo gli effetti domino negativi sull’ambiente, vi sono casi positivi in cui sono applicate nuove regole. Si va dai 200 milioni di alberi di vario tipo piantati nel Sahel al raddoppio in 40 anni dell’area boschiva della Costa Rica; dal programma agricolo a basso uso di pesticidi nello stato indiano dell’Andhra Pradesh al ripristino della laguna salmastra di Chilika sulla costa orientale della stessa India; fino a innovazioni recenti come le fonti proteiche alternative (la cosiddetta carne sintetica). Tali investimenti ecologici stanno riducendo povertà e fame e contribuiscono pertanto a salute, pace e sicurezza del genere umano.
In occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente odierna, i leader mondiali, gli scienziati, gli esponenti della società civile, le popolazioni indigene e i leader di comunità chiedono un’accelerazione nel ripristino degli ecosistemi. Nuove regole dovranno essere concordate in ottobre e novembre alla Conferenza Onu sulla Biodiversità a Kunming, in Cina, e alla COP26 a Glasgow, in Scozia. Lì, governanti da tutto il mondo si riuniranno per trovare un consenso e individuare gli obiettivi che consentano di prevenire, arrestare e invertire il degrado degli ecosistemi. Certo, gli investimenti richiesti non sono insignificanti. Ma il prezzo del non fare nulla sarà dieci volte maggiore. Se preso sul serio a livello globale, il prossimo Decennio per il Ripristino dell’Ecosistema verrà ricordato come un punto di svolta storico nel nostro rapporto con la natura e nel modo di affrontare i rischi ambientali.
Direttrice Esecutiva del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP)