Opinioni

Il direttore risponde. Intuizioni, lapidazioni, assoluzioni

Marco Tarquinio domenica 3 giugno 2012
Gentile direttore,
mi permetto dissentire dalla "pacata" e lineare conclusione raggiunta dal "Secondo Noi" pubblicato il 29 maggio a pagina 11 sui fatti di Rignano. Contesto la deduzione: «Che quindi non sono stati abusati», ma soprattutto mi inquieta la preoccupazione (legittima, ma inquietante perché unica!) che i processi si facciano in tribunale. È vero, ma i fatti chi li racconta/dice? Perché vince la deduzione di un giudice e non l’intuizione di una madre o di un padre? E il preciso servizio che una emittente privata a diffusione nazionale fece a suo tempo? Con riscontri, prove e pure sgradevoli interviste a persone autorevoli che hanno snobbato e minimizzato le reazioni dei bimbi? Mi scusi ma rimarco il mio dissenso da una modalità che rischia l’ipocrisia per una faccenda dolente e gravissima anche solo nelle ipotesi. Io, per le poche cose che so, pur avendo cercato di seguire con rispetto la faccenda, sospendo il giudizio, non volendo per nulla minimizzare il grido/segno dei più "piccoli".
Maria Rita Polita, Milano
 
Se ci fossero state prove non dico inoppugnabili ma almeno attendibili (e anche solo fornite per via mediatica), la sentenza sul caso dei presunti abusi sessuali su un gruppo di bambini di Rignano sarebbe stata molto diversa. Non una netta assoluzione di primo grado «perché il fatto non sussiste», che contraddice l’accusa dei pm e di un combattivo gruppo di genitori e fa solida eco a quanto altri genitori e una parte importante di quella comunità cittadina avevano, invece, sempre sostenuto. Detto questo, gentile signora Polita, capisco la sua preoccupazione e il suo dolente e "dissenziente" punto di vista. So bene anch’io, infatti, che verità giudiziaria e verità storica non sempre coincidono. Del resto, le imperfezioni della giustizia umana, in Italia e altrove, sono evidenti e note. Proprio per questo da padre mi immedesimo nei genitori più allarmati, da uomo rispetto ogni accusato che protesta con dolore e dignità la propria innocenza, da cronista non accetto sentenze pregiudiziali e "a prescindere", da cittadino non mi rassegno all’idea che la giustizia sia impossibile e che abbia sempre ragione il più forte o colui/coloro che strillano più forte. Col passar degli anni, poi, capisco meglio la saggezza che, ormai da secoli, ci ha portato a concludere che è «meglio avere un colpevole libero che un innocente in galera». E mi sforzo di ricordare sempre, e prima di tutto a me stesso, che anche le ipotesi accusatorie più gravi, quando non sono suffragate da fatti documentati, sono solo ipotesi cadute. E non dimentico mai che certe "intuizioni" fanno purtroppo rima con "lapidazioni", e a esse emotivamente e mortalmente (sul piano fisico e su quello morale) possono condurre: le raffiche di parole non sono meno letali dei colpi di pietra. Credo, insomma, che una società umana in cui accuse terribili e non provate diventano ugualmente un marchio infamante e permanente è quasi sempre una dittatura e sempre un’anti-civiltà.