La Rete e il Covid-19. Internet oggi può collassare, impariamo a «risparmiarla»
Adesso che tutti abbiamo capito quanto il digitale sia utile, abbiamo davanti a noi un altro problema: Internet potrebbe collassare. L’allarme l’ha lanciato Mark Zuckerberg, proprietario di Facebook, Instagram, Messenger e WhastApp. «Se l’epidemia dovesse peggiorare, i server (cioè i computer che veicolano il traffico di dati ndr) di WhatsApp potrebbero non bastare più, nonostante abbiamo già raddoppiato la loro capacità». Tutto nasce da un fatto molto semplice: con la pandemia, tutti noi usiamo per lavoro, per informarci o per diletto gli strumenti digitali con una frequenza molto più alta. Mandiamo messaggi, video, facciamo videoconferenze, videochiamate e lezioni online, andiamo sui social (il 30% in più solo in Italia), guardiamo serie tv su Netflix, Prime Video e RaiPlay. E ogni nostra azione consuma dati ed erode la capacità della rete di veicolarli. Accade, insomma, esattamente quello che succede quando il traffico sulle strade è troppo alto: si creano rallentamenti e code, fino al blocco della circolazione. Che può durare minuti o ore.
Internet non è uno spazio infinito. E soprattutto non è uno spazio tutto uguale. Le strade informatiche non sono larghe e scorrevoli in maniera simile in ogni parte del mondo. Il 47% del pianeta non è ancora connesso alla Rete, e in molti Paesi la velocità dei collegamenti è bassissima. Come ben sanno gli operatori telefonici, il punto massimo di traffico, in Paesi come il nostro, si registra a Capodanno, poco dopo il brindisi, quanto tutti mandiamo messaggi e facciamo telefonate di auguri per il nuovo anno. Quel picco, in questi giorni di pandemia, in Italia l’abbiamo superato più volte. Al punto che, ora che il coronavirus sta colpendo ovunque, compresi luoghi digitali molto trafficati come gli Stati Uniti, la Rete rischia grosso. Non è un caso che, nei giorni scorsi, sia stato fatto un appello a colossi video come Netflix e Prime Video di abbassare la qualità tecnica della loro offerta digitale di film e serie Tv. Più è alta e più consuma dati. E il sistema ha bisogno di risparmiarne il più possibile. Un appello simile dovremmo farcelo a vicenda. Ora che abbiamo capito quanto il digitale e la Rete siano importanti nelle nostre vite, non solo dobbiamo usarli con intelligenza, ma dobbiamo anche non sprecare dati. Diamo un taglio ai video inutili e al traffico fatto perché ci annoiamo e cominciamo a metterci bene in testa che Internet è molto simile all’acqua. Se un Paese ne consuma troppa, la risorsa viene tolta a qualcun altro, «assetandolo digitalmente».
Se state pensando che Internet non si fermerà mai, visto che è stato creata proprio per non bloccarsi, sappiate che solo nel 2018 la Rete è andata in crash, cioè è collassata, ben 12.600 volte. L’abbiamo accennato: Internet è un’autostrada mondiale, fatta di strade larghe e di altre a poche corsie, di luoghi dove si può correre veloce e di spazi dove la velocità è limitata. Quindi, se anche non si bloccherà mai a livello mondiale, si blocca già ora migliaia di volte a livello locale. Magari per poche ore o per un giorno. Ma accade già. Provate a pensare a quante volte, solo negli ultimi mesi, servizi come Twitter, Facebook, WhatsApp hanno avuto problemi anche da noi. Una delle soluzioni che i giganti digitali stanno adottando (come ha fatto anche WhatsApp in questi giorni) è quella di potenziare i loro server, i computer dove passano i dati. Ma facendolo aumenta l’energia elettrica usata per farli funzionare e in questo modo – anche se molte aziende stanno investendo nell’energia pulita e rinnovabile – si inquina sempre di più il mondo. Per produrre un computer, per esempio, vengono usati 240 chilogrammi di combustibili fossili, 22 chilogrammi di prodotti chimici e 1,5 tonnellate di acqua. Senza contare che i rifiuti tecnologici, secondo Greenpeace, «pesano ogni anno quanto 22 milioni di auto e solo il 20% viene smaltito in maniera corretta, mentre la parte più grossa finisce in enormi discariche in Paesi come Nigeria e India».
Secondo l’Agenzia francese per l’ambiente, anche solo «inviare una email con un allegato consuma energia quanto una lampadina a risparmio energetico che resta accesa per 24 ore». Mentre «bastano 8 messaggi per produrre tanta anidride carbonica quanta quella di un’auto che percorre 1 km di strada». E ancora: «le mail annue di un’azienda di 100 dipendenti inquinano quanto 13 voli andata–ritorno da New York e Parigi». Mentre guardare un’ora di video alla settimana «equivale al consumo annuo di due frigoriferi». Per capirci, se si somma ogni azione, «il digitale produce il 2% delle emissioni mondiali di gas serra». Uno studio della McMaster University ha stimato che entro il 2040 questo dato raggiungerà il 14%. Secondo uno studio pubblicato dalla rivista scientifica “Nature”, «l’uso degli strumenti digitali divora già oggi il 10 per cento dell’elettricità mondiale». E senza un intervento di razionalizzazione, «nel 2030 si rischia di arrivare al 20,9 per cento».
Internet, si è detto, è abituata a essere sotto stress. Probabilmente nessun’altra innovazione nella storia si è diffusa nel mondo con una rapidità paragonabile a quella della Rete. Nel 1995, quando Internet ha iniziato a farsi strada, la usavano 16 milioni di persone. Dieci anni dopo gli utenti erano diventati un miliardo. Passati altri dieci anni erano 3,3 miliardi. Il gruppo americano Cisco, leader mondiale nelle soluzioni di rete, ogni anno aggiorna le sue sul statistiche presente e sul futuro di Internet. Secondo l’ultimo aggiornamento, nel 2023 saranno connessi il 66% della popolazione mondiale, cioè 5,3 miliardi di persone, e 30 miliardi di apparecchi (di cui una buona parte saranno robot). La crescita del traffico non è parallela a quella degli utenti, perché contemporaneamente crescono anche i servizi che la gente si aspetta dal Web: lo streaming video, le videochiamate o i videogiochi via Web sono ovviamente servizi che consumano molto più traffico della semplice lettura di un testo online. È sempre Cisco a prevedere che quest’anno il traffico dati sia destinato a raggiungere i 254 exabyte al mese, circa il 25% in più rispetto al 2019 e più del doppio nel confronto con il 2017. L’exabyte non è una di quelle unità di misura che ci sono familiari: equivale a un po’ più di un miliardo di gigabyte.
Quelle previsioni di crescita non potevano tenere conto della brutta sorpresa Covid–19. Non potevano prevedere, cioè, che la grande maggioranza della popolazione del vecchio Occidente sarebbe dovuta rimanere settimane chiusa in casa. In questa situazione il traffico dati è probabilmente vicino un po’ dovunque ai suoi massimi storici. Dal punto di vista tecnico, Internet non può “saltare”. La chiamiamo Rete proprio perché ha questa forma, con circa 100 milioni di computer che fanno da server mettendo a disposizione file e dati a miliardi di altri apparecchi che fanno da host e raggiungono quei file e quei dati tramite un’infrastruttura di rete, appunto. Può succedere che si blocchino uno o più server, togliendo dalla disponibilità i loro dati, o può succedere che l’infrastruttura di rete – in uno dei suo diversi punti – non riesca a gestire il traffico di dati per le troppe richieste degli host (che sono poi i nostri computer, smartphone, tablet e qualsiasi altro apparecchio connesso).
Questo è il rischio che ha visto l’Europa in queste settimane di coronavirus ed è la ragione per cui la Commissione ha chiesto a Netflix e altri grandi operatori di streaming di ridurre la qualità delle loro trasmissioni video. È una sorta di distinzione tra servizi via Internet “essenziali” e non “essenziali” simile a quella che è stata fatta dal governo sulle attività economiche in Italia: i film in streaming in alta definizione, in questo momento, vengono sacrificati. In Italia l’AgCom si è già mossa per assicurare che la rete funzioni a dovere in questo momento critico e diversi operatori si sono anche adoperati per offrire ai cittadini maggiore traffico dati così che non si trovino improvvisamente scollegati davanti all’emergenza. Anche il blocco di un singolo server però può essere pericoloso, dipende da che cosa c’è dentro. Un blocco di Facebook o di Whatsapp sarebbe molto meno dannoso per l’economia mondiale di uno stop di server ben più rilevanti, come quelli di Microsoft, dove girano i più usati sistemi di produzione delle aziende e anche buona parte dei software utilizzati per gestire il lavoro a distanza, oppure quelli di Google, che è oggi l’architrave della navigazione del web per centinaia di milioni di utenti. Lo stallo dei sistemi su cui sta operando buona parte del mondo produttivo è l’ultimo dei rischi che ci possiamo permettere adesso.