Non è improbabile che fra qualche tempo la
Laudato si’ venga ricordata come «l’enciclica dell’ecologia integrale». È qui, infatti, come ha sottolineato ieri il cardinale Peter Turkson, il cuore del documento. E anche la parte più innovativa, il passo avanti che papa Bergoglio fa compiere al suo (già corposo prima di ieri) magistero sui temi ambientali e in definitiva alla stessa dottrina sociale della Chiesa. Che cosa intende il Pontefice per «ecologia integrale» e dov’è la novità di questo concetto che occupa l’intero IV capitolo del testo? Il n. 139 dell’enciclica lo spiega efficacemente in poche righe. «Quando parliamo di "ambiente" – scrive il Papa – facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati». In sostanza Francesco si muove nella piena consapevolezza che tutto nel mondo è intimamente connesso e che la difesa degli ecosistemi, la preservazione della biodiversità, la conservazione delle specie non saranno mai realmente efficaci se disgiunte da questioni apparentemente distanti come la politica e l’economia, le migrazioni, l’urbanistica e le relazioni sociali. Perfino la cultura e i comportamenti individuali rientrano in questa globalizzazione ecologica, come è scritto a chiare lettere nell’enciclica. E allora si comprende perché l’esempio a cui guardare sia san Francesco. «La sua testimonianza ci mostra – afferma Bergoglio – che l’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano». Parole che hanno dentro di sé l’eco feconda del magistero ratzingeriano, cui Francesco non ha mai fatto mistero di riferirsi pur in una linea di continuità innovativa, e che spiegano perché qui siamo veramente al cuore dell’enciclica. La
Laudato si’ è infatti un documento profondamente antropologico. Un testo, cioè, che rimette al centro del dibattito la visione dell’uomo. Perché c’è tutta la differenza del mondo, ci dice in pratica papa Francesco, tra una visione immanentista dell’umano e quella aperta alla trascendenza propria del cristianesimo. In pratica c’è la stessa differenza tra l’utopia prometeica di chi, sulla base delle sole conoscenze scientifiche, ritiene di poter disporre a proprio piacimento del mondo e l’atteggiamento di custodia di chi sa che «tutto è connesso» e che «le specie viventi formano una rete che non finiamo mai di riconoscere e comprendere».Il passo avanti rispetto al passato è evidente. Ai suoi albori il movimento ecologico sorse per contrastare soprattutto singole derive inquinanti: il ddt e la diossina ad esempio. Poi una prima evoluzione portò a comprendere che l’azione doveva essere più sistemica: fiumi, laghi, mari, la stessa aria che respiriamo, sporcati dagli scarichi industriali; oppure la battaglia contro il nucleare e i relativi rischi (Chernobyl insegna). Il tutto però filtrato attraverso una visione che metteva l’uomo sul banco degli imputati e che, nelle sue espressioni più radicali, arrivava persino a vagheggiare un pianeta Terra dominato dalla visione neomalthusiana del contenimento delle nascite o addirittura senza la presenza delle persone. In questo panorama è stato Paolo VI a introdurre la nozione di «ecologia umana», poi ripresa anche da san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e a ricordare che un ambientalismo a senso unico, volto solo a limitare l’attività umana e dimentico del rispetto che l’uomo deve prima di tutto al proprio corpo, sarebbe certamente incompleto e quindi potenzialmente inefficace, se non proprio dannoso. Ora papa Francesco in un certo senso chiude il cerchio. La "sua" ecologia integrale non solo ricomprende salvaguardia del creato ed ecologia umana, ma va oltre, mettendo in luce le diverse interazioni tra scienze esatte, politica, economia, cultura, organizzazione sociale e in definitiva visione antropologica. L’esempio più lampante è dato dal rapporto tra i cambiamenti climatici e l’aumento della povertà. Un rapporto che in molti casi è di causa effetto. Così come a loro volta alcune mutazioni ecologiche sembrano scaturire da scelte opinabili di natura economica. «Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato – scrive il Papa – richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà». In altri termini «è fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale – avverte Francesco –, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale». E in tal modo l’enciclica dell’ecologia integrale risulta doppiamente utile. Se infatti da un lato la voce autorevole del Pontefice richiama l’attenzione sui problemi, dall’altro offre una metodologia di intervento fortemente innovativa. Per alcuni versi addirittura "rivoluzionaria". Nel solco, del resto, di una delle caratteristiche principali di questo pontificato.