Opinioni

Editoriale. Diritto d'aborto anche in Italia? No, è una contraddizione assoluta

Vittorio Possenti mercoledì 5 giugno 2024

undefined

Nei giorni scorsi un’organizzazione specializzata nella raccolta firme online sulle questioni più varie, mi ha invitato a firmare una petizione volta a introdurre il “diritto di aborto” nella nostra Costituzione. Sembra che l’iniziativa sia partita da una deputata del Movimento 5 Stelle. Ho risposto che non avrei firmato. Nel contempo ho tenuto presente il voto a larga maggioranza del Parlamento europeo in aprile a favore di un inesistente “diritto all’aborto”. Spregiudicate convenienze elettorali hanno condotto schieramenti politici che non contemplano nel loro DNA il “diritto di aborto”, ad accodarsi almeno in parte.

Procediamo storicamente. Il “diritto all’aborto” non può avere base alcuna nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) che non lo contempla e che, anzi, cita come fondamentali i diritti alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona. Lo stesso vale per la Dichiarazione di indipendenza americana (1776) che inizia citando i tre valori supremi: vita, libertà, pursuit of happiness. Se invece guardiamo verso la Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789), essa recita: «I diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione... La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti».

La prima grande sorpresa sta nel fatto che il diritto alla vita non compare tra i diritti fondamentali. Per quanto singolare possa sembrare ai nostri occhi, la Dichiarazione del 1789 pose in cima a tutto la libertà e non la vita: questa non compare non solo nella triade Liberté, Égalité, Fraternité, ma è assente in tutta la Dichiarazione. La Costituzione francese del 1958 (in vigore) richiama anch’essa la triade suddetta, non però il diritto alla vita. Anzi il concetto cardine è quello di sovranità (ahinoi per la Federazione europea).

Quanto alla Germania la sua Legge fondamentale (1949) è chiara: «Ognuno ha il diritto alla vita e all’incolumità fisica», come lo sono la Cedu (»Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge»), e la Carta di Nizza (2000): «Ogni individuo ha diritto alla vita».

Il diritto alla vita non trova un riconoscimento esplicito nella nostra Carta costituzionale, in quanto nessuna disposizione prevede espressamente una tutela di tale diritto. Le disposizioni considerate rilevanti in merito sono gli articoli 2 e 3. Fondamentale è la sentenza 35/1997 della nostra Corte costituzionale, secondo la quale «il diritto alla vita, inteso nella sua estensione più lata, sia da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono — per usare un’espressione della sentenza n. 1146 del 1988— all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana». La Francia è il primo Paese al mondo ad inserire nella sua Costituzione il diritto all’aborto, mentre l’aborto legale fu introdotto da Lenin nell’URSS nel 1920, primo Stato al mondo.

Nella Dichiarazione del 1789 domina la libertà intesa come il diritto di agire con l’unica condizione di non danneggiare l’altro. Sembra abbastanza ragionevole, eppure è solo un flatus vocis sino a quando non si stabilisce chi è l’altro. Ora la determinazione di chi è l’altro è ardua, per cui vi sono molti altri reali che il diritto statuale a indirizzo libertario non vede e non considera: tra cui il feto cui l’aborto toglie la vita. Il voto del Parlamento europeo segna una deriva a favore del desiderio autocentrato che decide chi è e chi non è l’altro. Prevale la scelta del singolo e un libertismo radicale: qui l’aggettivo include anche i radicali italiani, che negli anni ’90 proposero un referendum in favore dell’aborto su semplice richiesta, respinto come inammissibile dalla Corte costituzionale.

La libertà alla francese ha compiuto un lungo cammino ed è approdata a un esito in completa contraddizione con la Dichiarazione del 1948, con la Cedu e la Carta di Nizza, cui la Francia e l’UE aderiscono. È una misera consolazione osservare che i Paesi Ue non sarebbero obbligati ad accettare tale “diritto di aborto”. Nel pronunciamento di Parigi e di Bruxelles vedo circolare una manifestazione di positivismo e di nichilismo giuridici (Kelsen docet), secondo cui la legge positiva può avere qualsiasi contenuto, purché sia stata validamente approvata. Niente si può contro la legge, ma tutto si può con la legge, dal momento che questa può avere qualsiasi contenuto, approvato da una maggioranza. L’UE pensa di dare un segnale di civiltà con un simile pronunciamento? La fabbricazione positivistica e libertaria di diritti inesistenti costituisce un regresso di civiltà.

La legge dello Stato può permettere l’aborto inserendolo a certe condizioni nel tessuto legislativo, non può invece dichiararlo un diritto, che solo la donna esercita. L’interruzione volontaria della gravidanza danneggia l’altro, anzi lo sopprime. L’usuale rivendicazione “il corpo è mio e ne decido io” non legge, perché dentro quel corpo vi è un altro.