Analisi. Italia, Europa. Benvenuti nell'era delle due leader
Elly Schlein davanti all'immagine di Giorgia Meloni nello studio di Porta a Porta
Si attaccano e si legittimano. Si sentono a telefono e glissano amabilmente sugli alleati. Si pungono sulle ricette economiche ma concordano la linea di politica estera per evitare incidenti parlamentari. Fanno blocco insieme contro il terzo mandato dei governatori mentre si combattono sulle riforme. E infine vincono le elezioni europee entrambe. A raccogliere un lieto fine che hanno costruito giorno dopo giorno, l’una da Palazzo Chigi, l’altra dal Nazareno. E chi sa se tra qualche settimana, nel nome dell’«interesse nazionale» e della «responsabilità», non si troveranno a sostenere lo stesso schema a Bruxelles, per i nuovi equilibri delle istituzioni europee. Ipotesi che sinora hanno rigettato al mittente, ma cos’altro dovevano dire in campagna elettorale? In fondo il Pd ha sostenuto sinora Von der Leyen, la premier italiana con la politica tedesca ci va più che d’accordo…
Insomma, tirando una linea tra mille considerazioni più o meno valide e fondate: con le euroelezioni è iniziata ufficialmente l’era delle due leader. Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Così lontane ma anche abbastanza vicine, quantomeno, da domenica, nei numeri elettorali. La premier lepre, la segretaria inseguitrice. Ma entrambe sulla cima della montagna, a guardare compagni di viaggio rimpiccioliti dalla differenza di voti. Quanto lunga sarà quest’era, dipenderà da loro due. Dalla capacità di tenere lontana la tentazione di trasformare questo neobipolarismo in un bipartitismo di fatto, di voler rappresentare tutto e tutti senza timore di contraddizione, di voler coprire estreme e centri come fosse un gioco dialettico, il vecchio e sempre valido «ma anche». Dipenderà dalla capacità che avranno entrambe di capire perché l’altra ha vinto.
Per Schlein, si tratta di riflettere da un lato sul valore della stabilità istituzionale che piaccia o non piaccia la premier è riuscita a incarnare, dall’altro sul radicamento nel Paese reale di un bisogno di identità. Per Meloni, si tratta di riflettere su quella paradossale dinamica per cui l’alternativa talvolta non è semplicemente tollerata o rispettata da chi governa, ma addirittura costruita quando provvedimenti e riforme diventano azzardi o sfide a un pezzo di Paese. Perché se la principale avversaria sale e si avvicina un motivo c’è sempre e di solito risiede proprio nelle politiche di chi governa. L’era delle due leader non è caratterizzata solo dall’avvenuto ridimensionamento numerico dei principali alleati, Fi-Lega da una parte e M5s dall’altra, ma anche da numerose sfide politiche in comune. La crescita di Alleanza Verdi-Sinistra è un monito per entrambe a uscire da difficili equilibri sulle questioni belliche, sociali e ambientali, e a prendere sul serio le istanze delle nuove generazioni. Interpella entrambe allo stesso modo anche il suicidio del centro renzian-calendiano: escluso che la premier voglia lasciare a cuor leggero questo pezzo di elettorato a Forza Italia, ed escluso anche che la segretaria dem voglia rinunciare a prescindere a riportarlo nell’orbita del Pd, serviranno azioni politiche concrete per riequilibrare l’asse dei rispettivi partiti. E per quanto possa sembrare curioso, persino il risultato della Lega, alla fine non così negativo come da previsioni, è un’occhiataccia rivolta ad entrambe: il duo Salvini-Vannacci potrebbero aver sdoganato toni e contenuti che altrove sono dovuti partire dallo zero elettorale, e che invece in Italia poggerebbero sulla piattaforma di un partito vero, fatto di amministratori e militanti. Anche l’affanno di M5s non è affare solo di una parte e la cronica assenza di radicamento territoriale del Movimento ne rende estremamente volatile il consenso in uscita: non c’è nessuna ricetta che lo conduca in modo lineare nel Pd, e Meloni lo sa.
E infine tra le numerose sfide in comune, ce n’è una di cui Meloni e Schlein potrebbero farsi carico davvero insieme con responsabilità: quella dell’astensione da horror. Forse le soluzioni sono più ampie e complesse, ma la politica ha diversi debiti da saldare: mettere mano a una legge elettorale che restituisca potere ai cittadini, innovare e “liberare” i sistemi di voto da meccanismi di controllo e scrivere una vera legge sui partiti.