"State attenti, questa è una guerra fra due civiltà, fra due identità, fra due culture: quella fra l’ultimo Stato laico del mondo arabo e l’integralismo religioso di al-Qaeda". Parole che in altre circostanze avremmo assegnato a qualche
think thank della costa atlantica o a qualche intellettuale islamico moderato, non fosse che a pronunciarle è stato Omran al-Zoubi, ministro dell’Informazione di Damasco. E sono parole più taglienti di una lama; anzi, l’autentica spina nel fianco della Casa Bianca, soprattutto da quando – con il sospetto l’utilizzo di gas nervini sul campo di battaglia – sembra sia stata oltrepassata la famigerata 'linea rossa': il limite al di là del quale Bashar al-Assad non può spingersi senza che l’amministrazione Obama lo consideri un palese
game-changer, un cambio di passo che impone un intervento diretto degli Stati Uniti.E proprio qui sta il dilemma, che insieme rischia – purtroppo – di diventare un copione già noto. Potremmo chiamarlo la 'sindrome Colin Powell', ricordando il discorso che nel febbraio 2003 l’allora segretario di Stato di George W.Bush fece di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’Onu esibendo le prove documentali dell’intelligence americana sulle violazioni alla risoluzione 1441 del Palazzo di Vetro, che vietava a Saddam Hussein il possesso di armi biologiche e biochimiche di distruzione di massa. Armi che, con il senno di poi, si sarebbe appurato che non c’erano (e probabilmente Colin Powell ne era al corrente fino a un certo punto), ma la macchina dell’intervento americano oramai funzionava a pieno regime. Non a caso il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman è tornato sul tema, scrivendo: «Dieci anni fa l’America invase l’Iraq con la scusa delle armi di distruzione di massa (che non c’erano), nonostante molte voci tentassero di avvertire i politici che stavano compiendo un terribile errore».Il puzzle siriano dei nostri giorni è molto diverso da quello iracheno. Assad – che si avvale dell’alleanza con Mosca e della solidarietà cinese – sa di giocare con il fuoco ed è consistente il sospetto che il
sarin (uno dei gas nervini più letali) che l’intelligence americana e britannica hanno rinvenuto nel sangue di alcune vittime sia stato deliberatamente usato, ma in piccole dosi e in minima parte, per saggiare la reazione di Obama e di Cameron. Parimenti Assad non si stanca di ricordare alle cancellerie occidentali come la caduta del regime baathista (e alauita) spalancherebbe le porte al peggior integralismo salafita, mutando drasticamente il volto di una Siria che pur essendo una satrapia a conduzione familiare, per almeno quarant’anni è rimasta un bastione laico e, a suo modo, un’enclave di tolleranza confessionale.
Non a caso le persecuzioni nei confronti dei cristiani siriaci (chiese bruciate, uccisioni, rapimenti, gli ultimi in ordine di tempo quelli dei due vescovi ortodossi) sono coincise con l’insurrezione cominciata due anni fa e l’ingresso nel Paese di formazioni di intonazione jihadista che hanno completamente stravolto la fisionomia di una rivolta che, all’inizio, pareva assomigliare al vento delle primavere arabe che per un po’ ha soffiato dal Maghreb al Golfo Persico.
Stretto fra l’incudine di una tragica replica degli errori commessi in Iraq (le stesse agenzie di spionaggio americane sono in disaccordo fra loro sulla completa attendibilità dei campioni di sangue con presenza di
sarin) e il martello di una destabilizzazione dell’area che certo non risparmierebbe il principale alleato degli Stati Uniti – Israele –, Obama prende tempo. L’Europa stessa, per bocca del suo Alto (quanto evanescente) Rappresentante Lady Ashton, attende 'una prova definitiva che per ora non c’è'.
La
smoking gun, insomma, la famigerata 'pistola fumante' nelle mani di Assad ancora non si è trovata. Del resto, rispetto al 2003 è difficile immaginare oggi il ripristino di quella
Coalizione dei volenterosi che all’epoca allineò 49 Paesi nella guerra contro Saddam. Oggi, in Siria, settantamila morti, un milione e mezzo di profughi, una progressiva pulizia etnica delle minoranze cristiane e un Consiglio di Sicurezza paralizzato dai veti di Mosca e Pechino non sono bastati a smuovere l’Occidente. Figuriamoci qualche fiala di gas nervino.