Opinioni

Trave portante spezzata. La strage di operai a Firenze: responsabilità da ricostruire

Francesco Riccardi martedì 20 febbraio 2024

A quattro giorni dal tragico crollo che ha interessato la costruzione del supermercato Esselunga a Firenze, quel cantiere appare come la drammatica metafora del lavoro oggi, nel nostro Paese e non solo. Sarà la magistratura, con le indagini e le perizie tecniche, a stabilire ragioni e responsabilità del grave incidente costato la vita a quattro persone mentre una quinta è ancora ufficialmente dispersa e tre sono ferite, una in maniera molto grave.

La causa, in realtà, è evidente: la trave che si è spezzata, ma c’è da stabilire se per un difetto di costruzione del prefabbricato o se per le manovre eseguite nel montaggio o ancora se per altri errori di valutazione nella fase di progettazione. La responsabilità primaria, dunque, andrà cercata in quei tre ambiti.

Sommersi - e solo qualcuno salvato - dalle macerie di cemento, però, sono rimasti 8 operai variamente all’opera in quel momento nel cantiere.

E scavando per estrarli, rimuovendo ancora ieri tonnellate di cemento per individuare il corpo del disperso, emergono via via le loro identità, storie lavorative e personali, finora come celate in un sottoterra: italiani alla vigilia della pensione, altri giovani o di mezza età di origine straniera, almeno uno sembra senza permesso di soggiorno.

Le ruspe che con delicatezza tolgono le macerie svelano via via la reale condizione di quei lavoratori e insieme disvelano le nostre ipocrisie. Sotto gli strati di cemento e mattoni, infatti, riappare il volto di un lavoro che è sì in tante occasioni sommerso ma che in realtà conosciamo bene. Lo vediamo praticamente in ogni cantiere: in strada o da ultimo direttamente a casa nostra, impegnato ad assicurarci i diversi bonus fiscali. Protezioni di sicurezza scarsamente utilizzate e, da ultimo, personale senza esperienza, “preso al volo” perché il mercato tira.

Un fenomeno che denunciamo pure da anni, a tutti i livelli: politico, sindacale, di opinione pubblica. Ma che non riusciamo – o non vogliamo? – davvero combattere. Perché fa comodo a tanti, il lavoro che dà il pane a tutti e pazienza se a prezzo di sfruttamento per alcuni. Il lavoro che andrebbe fatto sempre “a regola d’arte” e che invece si “tira via” qualche volta per negligenza o imprudenza, altre per risparmiare tempo e denaro. Ma ancora più spesso perché lo impone una concorrenza falsata, basata non sulle prerogative del prodotto o del manufatto, non su un corretto rapporto qualità/prezzo quanto sul mero risparmio, su costi ridotti all’osso. Scaricando il peso di tagli e sconti sui materiali e più ancora sul fattore umano, dai salari fino alla sicurezza.

Il criterio di tanti appalti, così, resta ancora quello delle gare al “massimo ribasso”, in cui lo sconto, il prezzo più basso fa ancora premio su tutto, fa chiudere gli occhi degli appaltanti su come un tale ribasso può essere operato, a quale costo per i lavoratori, a quale prezzo per la loro vita. Andrebbe invece esteso il ricorso alle gare basate sull’”offerta economicamente più vantaggiosa” che tiene in conto una serie maggiore di elementi oltre al mero prezzo. E soprattutto scorporare – sempre – dalle basi d’asta il costo del lavoro secondo i contratti nazionali e quello delle misure di sicurezza. Nel pubblico come nel privato, per i grandi lavori e per quelli limitati magari a un solo condominio.

Scavando fra le macerie di Firenze è riemersa anche la questione dei subappalti. Uno strumento che è sbagliato considerare un male in sé: soprattutto nel caso di opere particolarmente ampie o complesse è irrealistico pensare che una sola impresa possa fare tutto e che debba avere dipendenti diretti per ogni singola lavorazione. La specializzazione è un portato imprescindibile dell’economia e del lavoro moderni. Ma - anche in questo caso - più ancora del “quanto”, è il “come” si ricorre al subappalto a fare la differenza: se “strozzando” i subfornitori o impiegandoli al meglio, chiudendo gli occhi o vigilando su come a loro volta impiegano il personale. Necessari sono due criteri: il coordinamento in fase di esecuzione e la responsabilità in solido.

Committente e appaltante devono essere anch’essi responsabili di quanto avviene nei loro cantieri o fabbriche o negozi, come nel caso dell’impiego di cooperative per la logistica.

Sotto le macerie a Firenze cinque vite sommerse e tre salvate, dentro quel cantiere a spezzarsi è stata in realtà la trave portante della responsabilità. A crollare, qui come in mille altri casi ogni anno, è il senso del lavoro anzitutto come realizzazione della nostra umanità, di cui è condizione prima la tutela della vita e della salute della persona. Più ancora di leggi meglio mirate, di maggiori controlli pur necessari, sono questi i pilastri da ricostruire. E puntellare con impegno ogni giorno.