Il direttore risponde. Inchinarci a chi si dà per «bene»
Paola Montafia
Credo che tutti coloro che sacrificano la propria vita per un "bene" più grande meritino di ricevere omaggio e di essere ricordati con affetto e gratitudine. E credo, gentile signora Paola, che lei mi capirà benissimo se le dico che quando parlo di un "bene" più grande penso a ciò che davvero conta nella vita dei singoli e delle comunità, nelle esperienze, nelle speranze e nelle relazioni degli esseri umani. Lo scrivo alla rinfusa, senza ordini di priorità, ma parto – capirà anche questo – dalla fede: conta se ci si dà per Gesù Cristo. Conta se ci si dà per amore, per la famiglia, per la patria. E per dignità, lavorando e costruendo e insegnando (nei cento modi in cui questo è possibile). Conta se ci si sacrifica per la libertà di tutti. Per tenace onestà o per ordinaria rettitudine. Se lo si fa per la giustizia. E per la pace. Anche per la pace degli altri, soprattutto per la pace degli altri.Ha già capito, lo so, gentile amica lettrice, dove vado a parare: non credo che sarebbe giusto stendere un velo di silenzio su coloro che, ancora oggi, cadono lontano dalle loro case servendo in divisa l’Italia e contribuendo alla contraddittoria e a volte estenuante e quasi insopportabile fatica per affermare l’idea di un "codice" planetario dei diritti e e delle libertà fondamentali (questo, in sostanza, vuole dire agire su mandato e sotto egida delle Nazioni Unite). Non abbiamo bisogno di silenzio su questo, anzi. Serve che riflettiamo su ogni drammatica perdita (oggi eccezionale, grazie a Dio, agli uomini che hanno appreso la lezione terribile del Novecento e alla Costituzione repubblicana che «ripudia la guerra» come mezzo di aggressione), su ogni errore e su ogni infedeltà allo spirito di giustizia e di pace. E serve che pubblicamente questo sia affermato, ci colpisca e ci interroghi. È giusto inchinarci con solennità davanti a quei militari e concittadini che ci rimettono la vita. Come credo che sia giusto inchinarci – e, a volte, è accaduto che le nostre più alte autorità l’abbiano fatto con la stessa identica solennità – davanti a ogni caduto sul fronte nella resistenza civile alle mafie, a ogni morto sul lavoro (qualunque lavoro), a ogni volontario e missionario sacrificatosi servendo gli "ultimi" nella nostra Italia così come negli angoli meno illuminati (e raccontati) della Terra. Su queste pagine – non sempre con la giusta intensità, lo so – noi cerchiamo di farlo. Diamo omaggio, riconoscimento e affetto a tutti i caduti sul campo spesso aspro e dolente, ma necessario e splendido dell’umanizzazione del mondo. Posso prometterle che cercheremo di essere più attenti. Posso dirle che su nessuno saremo silenziosi. E sono sicuro che è questo che anche lei vuole. Un caro saluto.