Opinioni

Lettere. In un santuario mariano a maggio per toccare con mano la fede vera

Le Nostre voci di Marina Corradi giovedì 4 maggio 2017

Caro Avvenire,
la religiosità popolare manifesta con gesti visibili e tangibili i sentimenti della gente. Nessuna meraviglia, quindi, se il popolo usa toccare le immagini sacre, baciarle, offrire fiori ed ex voto, accendere candele, fare pellegrinaggi e processioni, andare in ginocchio, usare medaglie, riunirsi in gruppi di preghiera ecc. Questo vuol dire che il popolo cristiano manifesta una religione molto concreta, incarnata e ben amalgamata nei problemi della vita quotidiana. La gente chiede alla Madonna tutto l’anno ma in particolar modo a maggio, nei santuari: protezione di fronte alle molteplici minacce che deve affrontare riguardo alla salute, alla sicurezza, alla soluzione di problemi affettivi, alla liberazione dai vizi. Tanti fedeli di tutto il mondo in questi giorni si stanno recando a santuari dedicati alla Madonna per onorarla e chiederle grazie sia spirituali che materiali. Infatti, molti devoti hanno un forte senso del sacro, naturale e cosmico, legato alla trascendenza di Dio e della sua potenza.

Antonio Guarnieri, Cisternino (Br)

Toccare le immagini sacre, baciarle, offrire fiori ed ex voto, accendere candele, fare pellegrinaggi e processioni…». Lei elenca, signor Guarnieri, le tante modalità del culto mariano che in particolar modo in questo mese di maggio si esprime. Sono gesti semplici, a cui la cultura che ci domina guarda solitamente con sufficienza e un malcelato senso di superiorità: appare, al pensiero moderno, così ingenua la forma della devozione popolare, quasi un residuo di tempi remoti che si ostina a sopravvivere nell’oggi. Eppure la realtà è che una vasta moltitudine di persone ogni anno va a Lourdes, a Loreto, a Caravaggio e nelle centinaia di santuari mariani grandi o piccoli, meta nei secoli di pellegrinaggi. È un movimento popolare quantificabile in numeri massicci, ma difficilmente se ne trova traccia sui giornali. Personalmente, per lavoro mi sono trovata spesso a raccontare il mondo della devozione mariana. Non ero cresciuta in questa tradizione, e inizialmente io stessa soffrivo di quella diffidenza cui accennavo. È stata Lourdes e la forza silenziosa delle sue folle in preghiera, a farmi capire di trovarmi di fronte a qualcosa di autentico e grande. E non solo per una questione di numeri, ma per la domanda tacita che vedevo su ogni faccia; per la pazienza dei malati in carrozzella o in barella, per la intensità della lunga attesa alle piscine in cui i fedeli si immergevano. C’era, nella semplicità dei gesti, qualcosa di vero e profondo che traspariva. C’era una immensa domanda, nei pellegrini di Lourdes: un riconoscersi creature, fatte da un Creatore. Esattamente il contrario di quanto questo nostro tempo ci impone, illudendoci di essere fieri padroni di noi e del nostro destino. La fede incarnata di Lourdes mi apparve, la prima volta che ci andai, qualcosa quasi di rivoluzionario, per una che era stata educata a bastare a se stessa, e a non chiedere niente a un Dio che, se anche c’era, era lontano e astratto. Ho ancora negli occhi l’avidità con cui a Lourdes i pellegrini bevono l’acqua della fonte, gesto che ho poi ritrovato a Caravaggio, e altrove: quella domanda della limpida acqua dei santuari mariani, quasi in un’ansia di lavare via l’uomo vecchio, e di rinascere. Ho ancora in mente, a Czestochowa, quando all’alba viene scoperta l’immagine della Madonna nera, il tonfo unisono delle ginocchia di centinaia di fedeli polacchi, compatti come un esercito davanti alla sua regina. E gli ex voto, e gli splendenti gioielli che costellano le pareti di quel santuario, come di altri: quasi migliaia di 'grazie' depositati nei secoli, memoria concreta di grazie chieste e ricevute. Occorre andare in un santuario mariano, e soprattutto di maggio, per toccare con mano la fede popolare, umile e vera, che non si vergogna, in una coscienza filiale, a domandare; che, sempre, torna a ringraziare.