Serve una Conferenza di pace. In tanti contro la «carestia»
«Il nostro tempo sta vivendo una grave carestia di pace». Sono molto profonde le parole di papa Francesco all’Angelus di Natale. La guerra è diffusa in tanti luoghi del mondo, domina il nostro tempo, non si sa quando finirà. La pace invece scarseggia, come il pane in tempo di carestia. Ma quando è cominciata e perché questa carestia? Malgrado dieci mesi di un conflitto tremendo in Ucraina, non sappiamo ancora dare una spiegazione vera del perché questa guerra sia scoppiata e non se ne veda la fine. Tutte quelle che ne sono state date – la tradizione imperiale russa o la volontà aggressiva di Putin, le minacce della Nato o le pretese dell’Occidente – appaiono insufficienti. Il “vento gelido” della guerra viene da lontano, si è levato prima dell’aggressione russa all’Ucraina.
Da tempo, Francesco parla di «Terza guerra mondiale a pezzi» e ciò significa che anche quella in Ucraina ha legami profondi – sebbene spesso non li vediamo – con tanti altri conflitti del nostro tempo, dalla Siria allo Yemen, dall’Afghanistan al Mozambico (a Natale Francesco ha ricordato anche Iran e Myanmar). «Terza guerra mondiale a pezzi» può sembrare una definizione strana. Il fatto è che nel XXI secolo la guerra ha cambiato natura. Nella prima metà del secolo scorso, due guerre mondiali sono state scatenate principalmente da un’Europa che occupava il “centro” del mondo; nella seconda metà, invece, guerra e pace sono dipese soprattutto dalle due superpotenze subentrate all’Europa in tale “centro”, Usa e Urss. Durante la Guerra fredda, la tensione era tale – e il pericolo nucleare così grande – che nessuno dei due blocchi poteva permettersi una guerra al “centro” del sistema, sotto forma di contrapposizione frontale tra le due superpotenze, di conflitto armato convenzionale in Europa o di altri scontri con effetti globali. Le tensioni tra i due poli si scaricavano alle “periferie” dove si creavano conflitti che non finiva mai, come tra Israele e Palestina. Dopo la fine della Guerra fredda, invece, il vento gelido della guerra ha cominciato a soffiare dalle “periferie”, come ha mostrato anzitutto il terrorismo islamista (ancora oggi molto presente, specie in Africa). Anche la Russia non è più la superpotenza di un tempo, sebbene erroneamente Putin abbia creduto di farla tornate tale aggredendo l’Ucraina e la sua propaganda cerchi di presentarla come uno scontro tra Oriente e Occidente.
Ma che venga dalle “periferie” non significa che il vento gelido della guerra sia meno pericoloso. Non c’è più, infatti, un “centro” che spinga i conflitti ai margini e ne impedisca contraccolpi globali. Con effetto domino, oggi la guerra può arrivare ovunque. Anche per questo, appare sempre più difficile che si esca dalla tragedia ucraina solo con un negoziato fra le due parti: occorre che altri intervengano con decisione. Il prolungarsi di questa «guerra insensata», come la definisce papa Francesco, acuisce il bisogno che il mondo trovi un nuovo “centro” di stabilità. Che non può essere costituito da una singola superpotenza o da un gruppo di Paesi alleati. Né, tantomeno, da una civiltà contrapposta alle altre.
Il mondo potrà avere un nuovo “centro” non se qualcuno lo occupa, ma se molti lo condividono. È una domanda che Stati Uniti e Cina stanno raccogliendo? Ipotesi in questo senso sono state formulate dopo le visite, quasi in contemporanea, di Medvev a Pechino e di Zelensky a Washington. A beneficio del pubblico, Xi Jinping ha ribadito la forte amicizia con la Russia e Biden il pieno sostegno all’Ucraina. Ma sembra che, riservatamente, entrambi abbiano chiesto ai rispettivi interlocutori di cercare vie politiche e diplomatiche di soluzione del conflitto.
Qualcuno vede timidamente levarsi uno “spirito di Bali”, dopo la stretta di mano tra Biden e Xi Jinping durante il G20 nell’isola indonesiana. C’è da sperarlo, insieme a una più incisiva azione dell’Europa che, per la sua storia, sa bene quanto sia devastante la guerra. In ogni caso, difficilmente la strada per uscire dalla «carestia di pace» può essere separata dalla ricerca di un nuovo ordine mondiale. È la direzione su cui la Sante Sede insiste da tempo: per la pace in Ucraina più ancora che di mediatori senza secondi fini c’è probabilmente bisogno di una grande conferenza che raccolga tanti Paesi diversi come la Conferenza di Helsinki del 1975.