In morte di un povero . Biagio, la bicicletta rubata, la nostra superficialità
Si chiamava Biagio. Ogni sera, puntuale, arrivava in parrocchia. Silenzioso, sereno, sorridente, prendeva posto all’ultimo banco. Mai aveva voluto accogliere l’invito a farsi più avanti, stava bene così. Aveva trovato la sua dimensione. Era scapolo, Biagio. Aveva raggiunto quella pericolosa età di mezzo in cui, in Italia, si diventa apolidi, invisibili: troppo giovani per avere diritto a un minimo di pensione, troppo anziani per illudersi di trovare ancora un lavoro. La vita lo aveva lasciato indietro dopo l’ultimo licenziamento. Arrancava, ma non riusciva a rialzarsi. Non era un barbone, non un tossicodipendente, non un alcolista, non uno scansafatiche. Era solo un italiano povero.
Abitava lontano dalla nostra parrocchia, in un altro paese del Napoletano. Aveva una bicicletta, Biagio. Era la sua amica, il mezzo con cui spostarsi, la sua unica ricchezza. Con la bicicletta poteva venire in chiesa. La incatenava sul sagrato ben bene per paura che gliela rubassero. «In questa parrocchia – diceva – ho trovato la pace». Era diventato una figura familiare, pur parlando poco. C’era, lo sapevamo. C’eravamo, lo sapeva. Pian piano c’eravamo fatti carico della sua storia. Una storia di dignitosa povertà come tante. Un giorno, alla fine della Messa, non trovò la sua bicicletta. Gliel’avevano rubata. La guerra tra poveri è insopportabile. Rubare ai poveri è sacrilegio. Biagio ne soffrì tantissimo, sentì il terreno mancargli sotto i piedi. La bicicletta per lui era la vita. Aiutato dai fedeli riuscì a trovare un’altra bicicletta, usata, con la quale riprese il suo peregrinare. E la sera ritornò a occupare il suo posto. All’ultimo banco, come il pubblicano del Vangelo.
Tutti lo conoscevano, tutti lo salutavano, tutti lo rispettavano. La bicicletta 'nuova' era, però, in uno stato pietoso. Biagio la aggiustò alla meglio, ma era proprio malandata. La settimana scorsa, mentre pedalava, si è letteralmente sfasciata. Biagio ha perso l’equilibrio, è caduto, ha battuto la testa sul marciapiede. Pochi giorni dopo è volato tra le braccia del Signore. Lo abbiamo pianto come si fa con una persona di famiglia. Al dolore si è aggiunto il rammarico per non avergli regalata una bicicletta nuova. Purtroppo le parrocchie povere dei quartieri poveri non sempre riescono far fronte a tutti i bisogni dei tanti poveri che le fanno ricche. Biagio è passato in mezzo a noi e ci ha donato più di quanto abbiamo donato a lui. Le sue ultime parole sono state per noi, la sua comunità. Ci ha insegnato l’umiltà e la mitezza, la gratitudine e la riconoscenza. Sapeva dire grazie, Biagio. Non ha mai preteso, mai inveito, mai maledetto la sorte.
Continuava a chiedere solo un piccolo lavoro per non ridursi a fare il pezzente. Per non rinunciare alla sua dignità. Un lavoro per non essere gettato tra gli 'scarti' di questa bella e stravagante società che non riesce a rialzare chi è inciampato. Ci impegnammo presso l’amministrazione comunale del suo paese. Il sindaco, l’assessore, i servizi sociali promisero di farsi carico della sua storia. La speranza riprese a serpeggiare, poi tutto cadde nell’oblio. E Biagio, come le rondini, imparò a vivere di niente. Con la bicicletta i ladri gli hanno rapinato la vita. Non so in quale mani sia finita, so solo che i poveri sono sacramento di Dio, non vanno toccati, non vanno umiliati, non vanno illusi. Povero Biagio, poveri i ladri di biciclette vecchie.
Poveri ricchi quando non sanno allargare il cuore e farsi accanto ai poveri. Povera Italia se continua a non fare ciò che è giusto con giusta tempestività per i suoi figli più bisognosi. Perdonaci, Biagio, se non sempre abbiamo compreso il dramma che vivevi. Se semplicemente non siamo corsi a comprarti una bicicletta nuova.