Marciapiede come cattedra a due passi da San Pietro. In morte di Michel maestro di povertà
Marciapiede come cattedra a due passi da San Pietro Michel era uno di quelli che non ti lasciano in pace. Dal suo giaciglio, una distesa di cartoni e coperte, intorno a un vecchio sgabello con due sacchi pieni di chissacché a fare da braccioli, era difficile perfino trovare il posto per lasciare qualche moneta. Neppure un bicchiere di carta, o una scatola di scarpe a indicare dove raccogliere l’elemosina. Mai nessuno che abbia sentito la sua voce o che ricordi un suo cenno per chiedere.
La barba lunga e gli occhi arrossati di un sonno sempre vago e lontano non toglievano niente a uno sguardo a suo modo sereno, che lasciava tutto il resto in penombra: il muro di cinta, alto appena il necessario per poggiare le spalle, prima delle inferriate di protezione del campetto di un oratorio con le voci e il chiasso dei ragazzi a mischiarsi con il rumore e i fumi del traffico sotto il ponte del Papa, a via Gregorio VII, due passi da piazza San Pietro a Roma. Tutto diventava scenario di secondo piano intorno a Michel.
Anche la grande chiesa parrocchiale, poco più in là sullo stesso marciapiede, appena dopo il chiosco di un fioraio che da qualche giorno è come se avesse invaso tutto lo spazio intorno, fino a coprire di fiori la porzione di pavimento e la piccola parete in cemento e sbarre di ferro di quella che era diventata la 'casa' di Michel. Oltre ai fiori, i bigliettini di saluto e il disegno di cuoricini ad annunciare ciò che tutti nel quartiere, negli ultimi tempi, temevano. Michel era morto. Senza più quella sua postazione, Michel ha continuato ancora di più a non lasciare in pace.
Era uno di quelli che è arrivato a far pensare – e forse non è giusto né bello farlo – che non tutti i poveri sono uguali. Costretto a praticarla, lui, la povertà ha saputo innanzitutto insegnarla. Era lì per tenersi in vita e il suo status, agli occhi di tutti, era quello di un clochard. Ma all’incasso della giornata, come a una moneta che gli cadeva davanti, non dava neppure un’occhiata. E in maniera quasi misteriosa, riusciva a far capire, anche a qualche semplice passante che, 'basta' , non occorre lasciare altro, tanto non mi serve molto.
Dalla sua cattedra di povertà, Michel teneva una quotidiana lezione di sobrietà. Non lasciava in pace Michel, perché questa sua maestria saltava agli occhi senza che lui lo volesse; e un po’ inquietava, nel senso che arrivava ad annullare del tutto e a rendere perfino meschino quel piccolo e momentaneo tornaconto della 'coscienza a posto' che normalmente viene dall’atto di generosità di un’elemosina lasciata. «Di fronte a un povero qual è la mia reazione? – si chiedeva il Papa all’udienza di mercoledì – Giro lo sguardo altrove e passo oltre? Oppure mi fermo a parlare e mi interesso?».
Di questo dilemma Michel rappresentava la terza via. Girare lo sguardo, per la gente del quartiere, non era più possibile. Tantomeno passare oltre. Senza cenni né cartelli strappalacrime, Michel offriva misteriosamente, attorniato dai suoi stracci, il conforto della parola. Era lui a raccontare poco di sé e molto di persone e dei piccoli gruppi che di lui si prendevano cura nel quartiere. Dai suoi racconti sono nate nuove amicizie; e si sapeva a chi toccava badare alle medicine, a chi la colazione del mattino e il pranzo che Michel spesso metteva da parte come un altro degli ingombri che aveva intorno.
Si portava roba, e in cambio si prendeva umanità. Quella che dava Michel, uno sconosciuto rimasto tale: nazionalità tedesca, apparente età di sessant’anni. Nessun’altra notizia certa, e tanti 'si dice' sparsi per tutto il rione: «Ha scelto di vivere in povertà dopo la morte di un figlio». «È un medico». «Ha rifiutato ogni ricovero». Alla fine, tutti fatti di poco conto. Michel non aveva bisogno di avere una storia alle spalle. Gli si riconosceva quella che viveva e faceva vivere dal suo cantuccio addossato a un muro. Metropoli universale, oggi un po’ acciaccata, ma pronta a trasformarsi in quartiere appena girato l’angolo giusto: forse è questa la vera 'grande bellezza' di Roma che però rischia sempre più di essere una 'Roma sparita', perché la vernice del nuovo bada poco e passa sopra alla crosta buona che protegge vicende umane di spessore forte.
Ma poi accade che Michel, venuto da chissà dove, prenda possesso di uno spicchio di marciapiede e innalzi la sua cattedra di povertà fatta di stracci e avvolta da un velluto di tenerezza. È bastato un biglietto scritto a mano, tra i tanti di saluto (e su uno di questi, Alessandro, il ragazzo che gli portava le sigarette, ha scritto che accanto a lui, nel cortile dell’oratorio, i ragazzi «giocavano alla felicità») per annunciare il giorno dei funerali nella chiesa parrocchiale a due passi da 'casa'. Mai tanta folla e mai tante lacrime. A Michel il grazie del quartiere, guadagnato sul marciapiede, e così arrivato anche dall’altare.