Opinioni

Incinta, malata, respinta in Italia. In morte di B.S. Né timbro né pietà, ma un figlio

Marina Corradi sabato 24 marzo 2018

Veniva dall’Africa, era approdata con chissà quale miserabile odissea di deserto e di mare in Europa – nella civile, tanto sognata Europa. Aveva, che le cresceva in grembo, un bambino di pochi mesi; e, dentro, oltre al bambino un nemico, un grave linfoma, un tumore. La vita e la morte crescevano dunque insieme in B.S., 31 anni, nigeriana.

Quanto deve sfinire, una simile frontale battaglia. Ma lei, che immaginiamo ostinata, forte di speranza e di disperazione, non si arrendeva. Arrivata in Piemonte si era decisa per la traversata delle Alpi: in questi giorni di acerba fredda primavera, di neve ancora, di Burian che soffia, lassù, gelido e nemico. Oltre la catena di quelle vette candide e immense, le avevano detto, c’è la Francia. Forse aveva pensato che una simile barriera doveva proteggere un Paese meraviglioso. Dove sarebbe nato il suo bambino, dove, forse, l’avrebbero saputa anche curare. Certo, sapeva che i gendarmi bloccano i migranti e li risospingono indietro.

Ma magari pensava che per una donna gravida, in mano le carte che dimostravano che era molto malata, si sarebbe aperto uno spiraglio di pietà. Magari quel giorno il gendarme di turno sarebbe stato un padre, un brav’uomo, e non ce l’avrebbe fatta a dire di no. Lei, comunque, doveva tentare. Possiamo immaginarci la frontiera di Bardonecchia, a pochi metri dalla linea del sospirato confine. I migranti in attesa, nerissimi i volti sul bianco della neve; e i cuori, i battiti del cuore non si sentono, ma quanto rumore fanno, in certe ore. La giovane nigeriana forse era animata da una irrazionale speranza.

O forse, da ciò che credeva di aver capito in tv dell’Europa, non le sembrava un posto dove respingono le mamme incinte e malate di cancro. Il suo sorriso si deve essere spento al lento scrollare il capo di un funzionario: no, non esistono gli estremi, avrà detto quello, e poi avrà calato brusco un qualche timbro sui fogli, con un colpo secco che diceva: 'no'. Soccorsa dai volontari di 'Rainbow4 Africa', la migrante è stata portata all’ospedale Sant’Anna di Torino. Ha partorito il suo bambino prematuro, piccolissimo, con il cesareo, e poi è morta. Il bambino pesa solo 700 grammi, ma è vivo: un miracolo. Forse ce la farà. E forse fra vent’anni potrà raccontare di come fu, che venne al mondo: da una mamma partita per miseria dal cuore dell’Africa, che traversando il deserto, e chissà se libera o costretta, una notte lo concepì.

Poi ci fu il mare, e il grande viaggio fra le onde, e quei due, madre e figlio, già stretti insieme. Inconsapevoli forse ancora, del nemico maligno che li incalzava. E infine l’Italia, il sollievo di un mondo libero, e cibo, e cure, finalmente. Ma B.S. doveva andare in Francia. La aspettavano, forse, laggiù. «Non passerai, ti manderanno indietro», le ripetevano i compagni di viaggio. E lei invece serena, lei pronta a ogni sfida – col coraggio che una donna trova, quando combatte per un figlio. Ma, a fronte di questa impresa temeraria e infinita, alla frontiera francese solo quel funzionario che a stento la guardava in faccia (ai suoi occhi lei una dei tanti, una dei mille). Il ventre grosso, le carte dei medici che accertavano il tumore, quei due occhi neri piantati sul volto del gendarme. Una lieve scossa del capo, l’urto duro del timbro: 'respinta'.

Avanti un altro. Il grande, meraviglioso Paese dietro le catene innevate non si è aperto per B.S. e il suo bambino, né per la sua malattia. La Legge, probabilmente, è salva. Ma quella madre è morta, e chissà se salva è anche la coscienza della Francia, e dell’Europa. E chissà, se stiamo zitti, se siamo salvi noi.