Opinioni

Il direttore risponde. In memoria di Hiso, uomo retto ucciso dalla mafia del «caporalato»

Marco Tarquinio martedì 8 settembre 2015
Caro direttore, le vicende legate allo sfruttamento delle persone, dei lavoratori che sono impegnati alla raccolta dei frutti della terra, hanno portato drammaticamente alla luce storie di antiche fatiche, fatte di dolore e anche di morte, culminate con la fine delle esistenze di Mohamed e di Paola, la donna, la madre di tre figli, stroncata sembra da un infarto mentre era impegnata in un lavoro legato alla raccolta dell’uva. Paola faceva più di 150 chilometri al giorno per recarsi a un lavoro sfiancante per un compenso fatto, di poco più, di un elemosina l’ora. Come tante altre donne, come tanti migranti impegnati sotto il sole cocente. È morta mentre faceva più del suo dovere. Adesso per renderla giustizia, quella giustizia invocata anche dalla famigli e, dalla società civile, si indagherà. Si scaverà sulla ragione della morte ma si dovrà farlo anche sulle condizioni di lavoro a cui doveva sottostare; obbligata ad accettare impegni, obblighi, ritmi imposti dai caporali. Sottostando a quello che oggi, qualcuno, chiama 'stalking' ma che sono i soprusi e le angherie di sempre.  Sopraffazione alle quali le miserie impongono a tanti di chinare il capo in silenzio. Un silenzio che sedici anni fa, precisamente l’8 settembre del 1999 nelle terre della provincia di Foggia che un migrante albanese aveva deciso di non rispettare. Il suo nome era Hiso Telaray, un giovane uomo di 22 anni. Fu assassinato per non aver ceduto al ricatto dei caporali, della mafia del posto. Hiso lavorava la terra, aveva scelto l’Italia con la speranza e la voglia di costruirsi una vita nuova perché il suo Paese non riusciva a offrirgli niente. Era diventato un bracciante agricolo che raccoglieva i frutti della terra nei pressi di Cerignola. La sua tenacia e il suo senso di legalità, però, si scontrarono con il sistema messo in piedi dalle organizzazioni criminali che spesso regolano ancora oggi i lavori degli stagionali. La 'ribellione' di Hiso non poteva essere accetta e neppure minimamente tollerata. E la decisione di assassinarlo fu presa anche 'per dare un esempio'. Per rendere chiaro chi fosse a comandare. La sua storia, la sua tragica fine, non fece che qualche rumore e decisamente poco scandalo, e sarebbe stata dimenticata se non fosse stato per Libera, l’associazione di don Ciotti, impegnata su tutto il territorio nazionale nel contrasto nei confronti delle mafie, che prese a cuore la sua memoria. Una testimonianza che continua ancora oggi a ricordarci la sua forza di persona con un alto senso della giustizia. Ricordare Hiso Telaray, significa dunque ravvivare la speranza in persone che, pur nel bisogno, non sono disposte a cedere alle mafie del caporalato. Vuol dire che dobbiamo continuare a chiedere che oltre a un risveglio delle coscienze arrivino presto nuove norme. Leggi che senza indugio, insieme a quelle già esistenti, ma spesso dimenticate, salvaguardino e tutelino quell’etica e quei diritti del lavoro che per altri versi versi abbiamo visto disatteso anche nella storia della povera Paola. Luca Soldi (Prato) Condivido parola per parola la sua riflessione, caro amico. A chi continua a insinuare l’idea che ci sia un doppio standard nei diritti e doveri di cittadinanza e a praticare la discriminazione nei confronti dei poveri stranieri e dei poveri italiani (magari cercando di usarli gli uni contro gli altri) dobbiamo saper dimostrare che una sola è la nostra umanità e una è la legge. Che per essere buona non può che ispirarsi al diritto fondamentale della persona umana che ogni norma positiva precede e fonda. Da cittadini e da cristiani sappiamo anche che il ricordo profondo e 'militante' è arma decisiva per sbaragliare coloro che vorrebbero cancellare tutto, anche il nome, degli uomini e delle donne che intendono vivere secondo giustizia e non solo per se stessi. Hiso Telaray non può essere dimenticato, e con lui le nuove vittime della mafia del caporalato che uccide la dignità e fa a pezzi la vita dei più deboli. Ricordare è essenziale per continuare l’impegno che converte le coscienze e cambia il futuro. Marco Tarquinio