Editoriale. In Italia la povertà cresce. Ed è sempre più trasversale
Il Reddito di cittadinanza non ha abolito la povertà. L’ha mitigata in parte, ma ha trascurato quasi il 70% dei poveri assoluti. E certo non la sconfiggerà il nuovo Assegno di inclusione varato dal Governo Meloni, non più di carattere universale, ma limitato ai poveri con carichi di famiglia, con una platea di beneficiari di fatto dimezzata. Qualche risultato in più si è ottenuto con l’Assegno unico per i figli, che ha ridotto il rischio di povertà per una parte delle famiglie. Ma il quadro drammatico e preoccupante della miseria crescente nel nostro Paese è ancora tutto davanti ai nostri occhi. A patto, ovviamente, di volerlo vedere e possibilmente farsene carico.
Il quadro che emerge dal rapporto statistico Caritas presentato ieri, infatti, dice anzitutto questo: che a dispetto della ripresa dell’economia e pure della crescita dell’occupazione la povertà è in aumento, come in crescita sono i bisogni dei cittadini italiani che non trovano risposta. Esigenze primarie di consumo, di salute fisica e psicologica, di istruzione, di cura sociale che le famiglie non riescono a soddisfare ricorrendo al mercato, perché non se lo possono permettere, e che nemmeno vedono tutelate da un welfare pubblico sempre più in affanno. Tanto da allungare le file agli sportelli di ascolto delle Caritas sparse nei territori e far lievitare le richieste di “buste della spesa” per mangiare, di farmaci per il nonno o di microaiuti per pagare le bollette di elettricità e gas.
Bastano poche cifre a segnalare le aree principali di disagio. Anzitutto le famiglie con bambini. Nella fascia 0-3 anni si registra l’incidenza maggiore di povertà in Italia: 14,7% (contro il 9,8% della media nazionale). Significa che un bambino su sette la sera non ha abbastanza da mangiare, crescerà gracile e quando si ammalerà i suoi genitori non avranno la possibilità di portarlo da uno specialista. E, in prospettiva, chi nasce in una famiglia povera ha meno possibilità di studiare e di migliorare la propria condizione sociale. Perché assai più della ricchezza da noi si eredità la povertà.
Ci sono anche gli anziani a soffrire: per le condizioni precarie di salute e per la solitudine. Per la pensione che non basta – e sono la metà di quelli che si rivolgono agli sportelli Caritas - o perché a 60-70 anni ancora si è costretti a cercare un lavoretto per avere un reddito, ed è un altro quarto degli utenti anziani. Così come in aumento significativo sono le persone senza dimora sostenute dalle Caritas: 34.554 persone che un tetto sopra la testa non ce l’hanno o lo stanno perdendo. Quasi il 70% è straniero, la metà già genitore, il 13% occupato e il 5% laureato.
E sono proprio alcuni di questi spaccati a impressionare: perché la povertà è sempre più trasversale e colpisce a tradimento categorie che un tempo erano al riparo. Come gli occupati che sono complessivamente ben un quarto degli utenti delle Caritas. Persone, genitori, che un lavoro ce l’hanno ma per poche ore, in maniera saltuaria. Oppure, nonostante siano alla stanga tutto il giorno, guadagnano una miseria perché sono maledettamente spremuti. Nel Centro-Sud, dove caporali e padroni dei campi arrivano a lasciare davanti a casa un lavoratore straniero moribondo, con un braccio staccato: è tragicamente accaduto a Latina ed è una vergogna che pesa sulla coscienza di noi italiani. Ma accade pure nelle ricche regioni del Nord, dove le inchieste della magistratura continuano a svelare la precarietà, quando non il vero e proprio schiavismo, di cui si nutrono i grandi marchi della moda, della logistica, perfino della grande distribuzione organizzata. Si discute ancora sulla necessità o meno di introdurre un salario minimo legale e sicuramente la contrattazione è la migliore forma di tutela per i lavoratori, ma perché sia veramente efficace occorre favorirne la generalizzazione e reprimere il ricorso al lavoro nero; è improrogabile rafforzare la regolazione dei subappalti. Su questi temi il Governo, che ha stoppato le iniziative legislative, non ha poi assunto iniziative conseguenti. E soprattutto manca, da parte degli imprenditori e delle loro rappresentanze, un sussulto di dignità: isolando chi non rispetta le regole e impegnandosi a non ricercare la creazione di valore sulla pelle dei lavoratori, affidando le produzioni a false cooperative o microimprese che sono una delle fabbriche dei nuovi poveri.
La povertà - oltre che con l’ascolto e gli interventi sociali - si cura certamente promuovendo la crescita economica e il lavoro. Purché, però, questo sia sicuro e dignitosamente remunerato. Altrimenti da medicina diventa esso stesso morbo che avvelena persone e società.