Opinioni

Lettere ad Avvenire. In Cristo ogni uomo può nascere una seconda volta. E ricominciare

Le nostre voci di Marina Corradi martedì 18 aprile 2017

Caro Avvenire,
Pasqua sta nei miei passi, nei miei sguardi, nelle mie lentezze, stanchezze, nel mio incedere claudicante, nella mia ricerca sgangherata di un percorso che diventa giusta fatica da percorrere. Come se la parola apparentemente raccontata, disegnata, colorata, ripercorresse a ritroso il testo per addivenire vista prospettica tra orma e segno. Forse tutto ciò è per rendere accessibile l’inaccessibile della croce, del Risorto, della risurrezione, la storia personale di resilienza di ognuno e di ciascuno. Pasqua dunque non è un assoluto incomprensibile o un irrilevante incidente di percorso, Pasqua è il modo del fare speranza, che non scivola dal legno del sangue né dalla corona di spine, è speranza che piega le gambe, ma sorregge il basso della schiena. Speranza di ritornare a essere uomini vivi con lo sguardo in alto di chi non intende dare le spalle al senso di quelle braccia allargate e inchiodate a mezz’aria. Questa è Pasqua che poggia la sua radice nel rispetto per noi stessi e per gli altri, accettando le differenze e non ferendole, evitando accuratamente di usare gli altri ma tenendone equo conto. Pasqua del rispetto a quella croce di sofferenza e ingiustizia, Pasqua all’insorgenza della risurrezione, Pasqua da quella storia alla nostra storia, Pasqua un esempio da cui imparare finalmente il valore del rispetto.

Vincenzo Andraous

«Ho una brutta storia alle spalle. Una gran brutta storia, che incute timore. Non potrò mai scrollarmi di dosso il dolore che ho provocato. Ma oggi non nascondo più il mio passato. Anzi lo racconto, per evitare che altri cadano nel mio abisso». Questo diceva di sé Vincenzo Andraous in un’intervista di qualche anno fa. Andraous, per chi non lo ricordasse, ha tenuto per anni una rubrica su 'Avvenire' intitolata 'Primo raggio' e dedicata alla vita in carcere. 63 anni, catanese, è un ex boss della malavita, condannato all’ergastolo per tre omicidi. Ha passato trent’anni nei più duri penitenziari italiani. Pentitosi e attraversata una profonda conversione, dal 2013, in regime di semilibertà, lavora a Pavia in una casa per giovani tossicodipendenti. Ho scelto questo testo che ci ha inviato per i giorni di Pasqua perché Vincenzo Andraous è la testimonianza che in Cristo ogni uomo può nascere una seconda volta, e cominciare una vita nuova. «Pasqua sta nei miei passi, nei miei sguardi, nelle mie lentezze, stanchezze, nel mio incedere claudicante, nella mia ricerca sgangherata di un percorso…», scrive, e mi fa pensare a noi, e a me stessa. Quanto nel volgere degli anni può essere faticoso, pur essendo cristiani, continuare a vivere intensamente i giorni della Pasqua. Quanto è facile diventare cristiani 'abituati'. Non immedesimarsi più nell’agonia del Venerdì Santo; non restare in interiore silenzio nelle ore buie del Sabato; non essere commossi quando le campane annunciano la Risurrezione. Eppure la Pasqua è proprio per questa nostra fatica, per i poveri passi claudicanti di cui scrive Andraous. Pasqua è per noi affaticati. Quando ero ragazza facevo la cronista di cronaca nera e giudiziaria. Ricordo che un giorno a Milano vidi Andraous in aula, nella gabbia degli imputati per un feroce omicidio. Il suo solo nome nelle carceri italiane faceva paura. E oggi siamo qui, insieme su questa pagina di giornale, a parlare di Pasqua. «Speranza di ritornare a essere uomini vivi con lo sguardo in alto», si legge nella lettera. È un augurio anche per me, e per tutti noi.