A lezione da un anno stra(non)ordinario. In cerca di vero e altro senso
Il 2020 è stato – da marzo in poi – semplicemente, drammaticamente l’anno della pandemia di Covid-19, un anno terribile e stra(non)ordinario. La pandemia ha generato tre terribili effetti negativi sulla vita della nostra comunità: la perdita di moltissime vite umane, la parziale paralisi della vita economica e la perdita di vita sociale e formativa, particolarmente dura per i giovani in età scolastica, in anni così importanti per la loro formazione e crescita. Se la perdita formativa è forse recuperabile, il tempo di vita sociale perduto non tornerà più. Proprio per queste "disgrazie", che non ci siamo cercati e che non avremmo assolutamente voluto, il 2020 è stato un anno che ci ha insegnato tantissimo, molto di più di tanti anni "ordinari" messi in fila.
La resilienza (la capacità di rialzarci quando uno choc ci mette a terra) è diventata la virtù più invocata in questo anno drammatico. Nel nuovo anno dobbiamo ripartire con lo spirito dell’atleta paralimpico che non si piange addosso per ciò a cui non può porre rimedio, ma trova nuovi orizzonti e sfide che lo spingono a dare il meglio a partire dalla sua nuova condizione. Dobbiamo farlo facendo tesoro delle lezioni apprese ricordando sempre che i vincoli non sono soltanto limiti ma anche punti d’appoggio, fulcri su cui fare leva per raggiungere nuovi obiettivi.
Sul fronte economico abbiamo congeniato e messo in atto una serie di misure di emergenza che hanno tenuto in vita, seppur con difficoltà, il Paese.
È come se il corpo sociale ed economico fosse stato sottoposto a una grave operazione e, nel frattempo, con una serie di anestetici e antidolorifici, siamo riusciti – evitando il peggio – a farlo sopravvivere (pur rallentando le sue funzioni vitali) con ristori, cassa integrazione e politiche monetarie non convenzionali. Se è stato un problema realizzare quest’obiettivo sarà un problema anche il delicato passaggio del ritorno alla vita normale dove la graduale sospensione delle misure di emergenza deve favorire e non pregiudicare il ripristino delle piene funzioni vitali. Avremo il vantaggio della spinta poderosa del desiderio di lasciarci alle spalle questo periodo (l’abbiamo in parte già visto quest’estate) ma dovremo fare attenzione a trovare modalità più resilienti di attività economica per ridurre la nostra fragilità a possibili choc futuri. È questo il senso della transizione ecologica che il grande piano europeo Next Generation Eu ci chiama a percorrere per noi e per lasciare un mondo sostenibile alle generazioni future.
Nel rapporto tra persone come in quello tra Stati la pandemia ci ha insegnato che di fronte a pericoli e rischi globali ci vuole molta più cooperazione e che la solidarietà e il gioco di squadra rappresentano una forma di razionalità superiore rispetto al laissez faire. Gli Stati membri della Ue sembrano averlo compreso, facendo un passo avanti nella capacità di valorizzare e sfruttare la forza della squadra (il progetto Next Generation Eu, appunto, e la politica di emissione comune di titoli sui mercati finanziari).
Abbiamo anche capito, come ha ricordato più volte papa Francesco, che «tutto è connesso» (economia, ambiente, salute) e che gli squilibri su di una dimensione si trasmettono su tutte le altre. Per questo quando sceglieremo strategie e progetti non potremo non utilizzare indicatori di benessere multidimensionale (come nell’indagine sul «ben-vivere dei territori italiani» facciamo da due anni con "Avvenire") e non dobbiamo mai più fare l’errore di guardare a una sola dimensione senza considerare l’interrelazione con le altre. Esattamente come quando il medico che prescrive una medicina per curare una determinata patologia si preoccupa anche dei suoi effetti collaterali. Quando parliamo di ecologia integrale o di sviluppo sostenibile dobbiamo tenere bene a mente che ogni nostro intervento, per essere virtuoso, deve agire congiuntamente su lavoro, ambiente, diseguaglianze, ricchezza di senso del vivere.
L’esercitazione forzata di smart work, cioè di lavoro a distanza, a cui siamo stati costretti durante il lockdown, e il blocco delle relazioni faccia a faccia in presenza ci ha fatto scoprire che possiamo essere più ricchi di tempo e anche più capaci di conciliare lavoro, vita e relazioni familiari cambiando in parte le nostre abitudini. Il mondo post pandemia non tornerà mai come prima se abbiamo veramente appreso la lezione. Non ha senso fare andata e ritorno da Roma a Milano in giornata per partecipare a una sola riunione quando possiamo farne cinque a distanza ed essere più "produttivi" e ricchi di tempo, coltivando anche le nostre relazioni basilari. Questo non vuol dire che non torneremo a provare il piacere di viaggiare. Ma che le riunioni a distanza possono essere altrettanto produttive e molto più frequenti di quelle in presenza per le quali facciamo fatica a incastrare le nostre agende. Le relazioni a distanza non sono perfetti sostituti di quelle in presenza, ma sono enormemente meno care in termini di tempo.
Eppure i passi in avanti che potremo fare saranno tali solo se sapremo curare la ferita delle diseguaglianze, che al solito si aggrava dopo le crisi. Accesso a sanità ed istruzione, infrastrutture digitali di qualità disponibili per tutti, pari opportunità sono obiettivi fondamentali per mettere a disposizione senza esclusioni le incredibili opportunità che il mondo di oggi ci mette a disposizione.
La sfida non è soltanto materiale, ma anche spirituale. È nostro compito, come ci ricordano il principio del bene comune e l’articolo 3 della Costituzione, creare le condizioni per la fioritura della vita umana. Siamo innanzitutto cercatori di senso e la povertà di senso di vita è uno dei problemi maggiori dei nostri tempi. La grande sfida di civiltà del futuro post pandemia sarà realizzare pienamente quel principio creando le condizioni per la generatività della vita per ciascun membro della comunità a partire da quella degli ultimi e degli scartati.
Come ha detto più volte Francesco, da una crisi non si esce mai uguali. Sta a noi uscirne migliori.