Opinioni

Le premesse. L'impegno della Chiesa e dei laici nella ricostruzione

Fulvio De Giorgi sabato 29 agosto 2015
Antonio Rosmini e Alcide De Gasperi: a queste due grandi figure di cattolici europei contemporanei si rifà la recente riflessione di monsignor Galantino su «La "ricostruzione" italiana». L’occasione è stata la commemorazione dello statista trentino nella sede dell’omonima Fondazione, presieduta dal professor Tognon. Ma, possiamo dirlo, il segretario della Cei è andato ben oltre un discorso storico-rievocativo: ha offerto agli italiani, ai laici cattolici soprattutto, un testo-base di riferimento (quasi potremmo dire un "manifesto" per i tempi nuovi). I politici italiani, ahimé, si son fermati a qualche frase estratta dal contesto, formulando giudizi di così basso profilo che, per carità di patria, è meglio ignorare. Galantino, in realtà, ha sviluppato una riflessione alta, innovatrice sul piano storiografico, complessa nelle articolazioni, fondata su tre principi di fondo: rispetto delle Istituzioni democratiche, bene comune, laicità. Potremmo dire, ricordando il discorso di Aldo Moro (anch’egli citato da Galantino) alla Costituente il 13 marzo 1947: democrazia in senso politico, in senso sociale e in senso latamente umano. Il tutto nel contesto di una "carità pluriforme", dunque anche politica, rispetto alla quale i riferimenti evocati sono stati Pascal e Rosmini, Paolo VI e papa Francesco. Ma il nocciolo "civile" del discorso riguarda un parallelo: De Gasperi interpretò al meglio le necessità di una Ricostruzione, dopo un disastroso ventennio; oggi si avverte che viviamo un profondo cambiamento e si sente il bisogno di un’analoga capacità di vera Ricostruzione. Dice Galantino: «Un’epoca che ritorna attuale oggi. Noi siamo in pieno nel passaggio verso una nuova intelligenza civile: il mondo è cambiato, nulla sembra uguale a prima». È vero (e ce lo ricorda spesso papa Francesco): veniamo da un trentennio di disastroso dominio del neoliberalismo e da una crisi finanziario-economica ancora presente: «Siamo di fronte alla necessita? non solo di una nuova forma di convivenza fra i popoli, ma anche di un nuovo modello macro-economico, di una nuova politica industriale, di una politica dei diritti sociali più completa. Chi pensa, chi adotta, chi realizza queste riforme?». La sfida è certo molto difficile: «Recuperare la passione per la Ricostruzione di un popolo e di un mondo non è impresa facile, anche se necessaria […] È un evento che si realizza sulla spinta di una concentrazione di virtù, di passioni e di intelligenza che va preparata e che si manifesta solo a certe condizioni». Sottolineo: va preparata (e si manifesta solo a certe condizioni). Due brevi considerazioni e una domanda. Innanzi tutto è importante riprendere la capacità di un’ampia visione storica, oltre gli sguardi sociologici "brevi" oggi prevalenti. Come già fu per Rosmini e De Gasperi, occorre infatti affrontare e contrastare «l’ostracismo di tutti coloro che non concepivano che la storia fosse importante e decisiva anche nella Chiesa, perché solo la realtà vivente è capace di lottare contro altari vuoti e poteri assoluti. La storia non è monarchica o teocratica, come non può esserlo la coscienza, che è quell’abito interiore che ci richiama sempre alla nudità e alla mendicanza davanti al Signore, ma anche davanti ai fratelli, ai compagni del genere umano». Seconda considerazione: la prima e più urgente Ricostruzione non è immediatamente politica: questa va preparata, fondata e accompagnata da una Ricostruzione etico-culturale e civile (ben più profonda e ampia di quella "ricostruzione della sinistra democratica", pur intelligentemente auspicata da Eugenio Scalfari). Alcune nuove esperienze di amministrazioni "civiche2 (naturalmente diversamente orientate in senso politico: ed è giusto così) vanno in questa direzione. Ma non basta. E qui, allora, germina una domanda ai vescovi italiani. Se per superare «il progetto attuale di un umanesimo autosufficiente» serve un giuspersonalismo e un concezione forte del bene comune (dell’umanità e della biosfera), se «il Papa, i vescovi e i presbiteri hanno bisogno di essere inseriti a loro volta in una comunità impegnata e solida che li ascolti, certo, ma anche che li aiuti e li sostenga», mi chiedo se non sia opportuno che i Pastori (come fece Montini favorendo la nascita dei Laureati cattolici durante il fascismo e poi delle Acli nell’immediato dopoguerra: per citare due realtà diverse) disegnino il profilo, storicamente adeguato ai tempi nuovi, per un soggetto popolare di apostolato, di autoformazione spirituale e civile e di protagonismo adulto del laicato cattolico italiano (recuperando e, insieme, superando la gloriosa storia che comprende anche l’Azione cattolica e le Acli). Insomma, la Ricostruzione va preparata. E si manifesta solo a certe condizioni.