Nei discorsi politici. Impegnativa è l'arte di citare la grande tradizione cristiana
In queste giornate di inizio legislatura, che preludono al varo del nuovo governo, siamo raggiunti da una serie di citazioni, provenienti dalla tradizione cristiana e cattolica, da parte dei politici che stanno assumendo la leadership del Paese. Un tempo, allorché la cultura era alquanto fragile e sottoposta a strumentalizzazioni ideologiche, erano in uso, insieme ai vari bignamini, i florilegi, ossia raccolte di frasi più o meno accattivanti, ma comunque rispondenti a tesi preconcette, attribuite in maniera autentica o presunta a personalità autorevoli della tradizione. In teologia si usavano gli Enchiridia per non confrontarsi direttamente con le Scritture, i Padri e i documenti ecclesiali, in modo da avere a disposizione dei prontuari a uso e consumo di quanto si intendesse affermare nella predicazione o nell’insegnamento. Le citazioni dei politici odierni sembrano provenire da analoghe raccolte o comunque da slogan che sarebbe interessante, invece, contestualizzare, come insegna l’attuale ermeneutica. Mi sembra, tuttavia, interessante notare che si tratta di frammenti-aforismi, che rivelano come il Verbo abbia lasciato dei semi, la cui portata riesce a raggiungere persino l’aula parlamentare. Esserne fieri, tuttavia, può risultare fuorviante, a meno che tali fugaci riferimenti non ci aiutino a pensare, grazie alla possibilità, che ogni persona pensante possiede, di contestualizzarli.
Un testo interessante da questo punto di vista, con passaggi obiettivamente suggestivi, è il discorso pronunziato ieri dal neoeletto presidente della Camera, Lorenzo Fontana. Mi soffermo su tre passaggi significativi che ci interpellano come credenti. In primo luogo, il riferimento a papa Francesco: «Volevo dedicare un primo saluto al pontefice Francesco che rappresenta un riferimento spirituale per la maggioranza dei cittadini italiani. Il Papa sta svolgendo un’azione diplomatica a favore della pace senza uguali». Parole molto belle, e giuste. Tuttavia, il magistero del vescovo di Roma va preso sempre sul serio, anche quando afferma che è «criminale » non accogliere profughi e immigrati: «Oggi [domenica 9 ottobre] nel giorno in cui Scalabrini diventa santo vorrei pensare ai migranti: è scandalosa l’esclusione dei migranti». Sarà finalmente nell’agenda di Parlamento e Governo sia il perseguimento della pace sia quello dell’accoglienza? In secondo luogo, la citazione, o meglio il riferimento a Tommaso d’Aquino, autore certo da lui conosciuto perché studiato presso l’Università Europea di Roma. A tal proposito ha affermato: «dobbiamo ricordare quanto ci ha indicato san Tommaso d’Aquino: “il male non è il contrario del bene, è la privazione del bene” Il compito per noi parlamentari sarà di non privare del bene l’Italia, ma al contrario lottare per esso con umiltà, serietà, sobrietà. Dobbiamo riportare fiducia, speranza, orgoglio e orgogliosamente rappresentare il popolo più bello e creativo del mondo». Di nuovo bella citazione. A tal proposito sarà però opportuno ricordare che questa tesi del male come privazione del bene, che risale ad Agostino, nel paradosso cristiano va integrata e ripensata alla luce della “immane potenza del negativo”, che irrompe nelle nostre vite, ad esempio nella forma del virus o della guerra (sarebbero pure privazioni del bene o non anche potenze malefiche?). La dottrina sugli angeli decaduti avrebbe molto da insegnare a riguardo. E sarebbe una scorciatoia semplicistica e per questo fuorviante, svuotare dal di dentro la potenza del male, ritenuto privo di consistenza ontologica, per passare oltre.
Infine, la citazione del beato Carlo Acutis, secondo cui nasciamo originali e viviamo da fotocopie, dove si afferma che l’originalità, ovvero l’unicità, non va intesa come «rottura o indice di superiorità ma espressione di democrazia e rispetto della storia: la ricchezza dell’Italia e dell’Europa sta nella diversità». Espressioni più che condivisibili. Il discorso di Fontana, tuttavia declina la diversità in rapporto alla tematica, cara al suo partito di appartenenza, dell’identità dei popoli e delle autonomie locali, di cui rivendica il riconoscimento, in base alla Costituzione, ma dimentica completamente l’alterità-diversità delle appartenenze altre, che ci raggiungono da Paesi martoriati, come quella di persone che chiedono diritti di cittadinanza o di coloro che vorrebbero soltanto non essere vittime di violenze e bullizzazioni, di cui purtroppo spesso riferiscono le cronache.
Bisogna essere felici di cogliere frammenti di cristianità, e magari fossero di Vangelo, in questi discorsi, ma attenti anche a contestualizzarli e a non strumentalizzarli come slogan funzionali, laddove essere cattolici significa, anche etimologicamente, essere “universali” e la politica chiede una presenza credente, ossia universale e non parcellizzata alla propria appartenenza.
Teologo, Pontificia Università Lateranense