Salvare i profughi, regolarizzare i lavoratori. Imparare a sentire il dolore dell'altro
Caro direttore,
mentre la pandemia ci costringe a sperimentare l’isolamento sociale – non come stile di vita, ma come strumento per custodire la nostra salute e quella altrui – papa Francesco scrive ai Movimenti popolari, cuore pulsante di un mondo che il sistema neppure vede («per questo sistema siete veramente invisibili»). Questi movimenti e quelle realtà che ne condividono lo spirito sono un esercito senza altre armi se non la solidarietà, la speranza e il senso di comunità. Per questo il Centro Astalli si sente coinvolto e motivato dalle parole di Francesco che sente sue e soprattutto necessarie per continuare a seguire la strada che porta a farsi carico delle istanze di giustizia degli ultimi della terra.
Ogni giorno, rimaniamo faticosamente al fianco dei rifugiati grazie al servizio generoso di tanti volontari, cercando di rendere il presente meno doloroso e meno difficile per le loro vite precarie e già duramente provate. In alcune circostanze, con diversi attori del sociale, siamo stati additati come quelli che non rispettano le regole del distanziamento sociale, eppure cerchiamo di continuare a servire gli ultimi con gli strumenti che abbiamo, nonostante i dispositivi di sicurezza siano pochi (non per scelta ma perché non sempre reperibili), con la prudenza di chi ama le persone che serve e mai le metterebbe in pericolo. Al tempo stesso agiamo con un profondo senso di responsabilità per il bene comune, indirizziamo il nostro servizio verso la ricerca di soluzioni degne, non aspettando che le briciole cadano dalla tavola.
I mali che colpiscono tutti feriscono doppiamente i più vulnerabili. Guardiamo, perciò, con preoccupazione alla strumentalizzazione della definizione di 'porto sicuro' da parte di molti governi europei. L’Italia è divenuta approdo insicuro per decreto e, a dispetto di cultura giuridica, princìpi umanitari e baluardi di civiltà, contribuisce a lasciare al proprio destino profughi che dalla Libia provano disperatamente ad arrivare in Europa, in cerca di salvezza e protezione dagli orrori della guerra, della tortura, della disperazione.
In un tempo in cui tocchiamo con mano che nessuno si salva da solo, mai avremmo pensato di sentire alcune amministrazioni comunali precisare che i buoni spesa non sono previsti per chi non ha un permesso di soggiorno regolare. Eppure molte delle persone più fragili - scrive papa Francesco parlando al mondo intero - «vivono giorno per giorno senza nessun tipo di garanzia legale che li protegga». Assistiamo con preoccupazione al contenimento e al isolamento di situazioni abitative irregolari: occupazioni, campi e centri di detenzione sono luoghi in cui diritti e dignità non entrano da tempo. E oggi anziché investire in legalità, emersione, presa in carico dei più fragili e dei più vulnerabili a beneficio della sicurezza di tutti, si rischia di ghettizzare, chiudere, isolare.
Oggi più che mai chiediamo a gran voce e con rinnovata motivazione che regolarizzare i migranti che già risiedono e lavorano in Italia, gestire i flussi di ingresso, aprire canali umanitari è scelta di sicurezza per tutti. Più diritti e legalità equivalgono a minor diffusione del contagio, perché l’irregolarità, come la povertà e la privazione, indebolisce il contenimento del virus.
Mentre viviamo questa quarantena difficile per tutti, pensiamo al futuro, mettendoci nei panni di chi cammina, non con l’andatura spedita richiesta da un mondo efficientista, ma con il passo affaticato di chi è più fragile. Se non impariamo a mettere in campo quella sapienza di sentire il dolore altrui come proprio, rischiamo di ripartire senza aver appreso l’insegnamento che questo tempo che viviamo deve lasciarci. Altrimenti, infatti, pur rafforzati da un’accresciuta consapevolezza umanista ed ecologica, rischiamo di rimanere ancora soggiogati dall’idolatria del denaro che crea disuguaglianza e dolore.
Sacerdote, presidente Centro Astalli, servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia