Una legge da rivedere. Clandestinità, il reato non vince la paura
La marcia indietro del governo sulla depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina lascia davvero sorpresi. Già all’indomani dell’approvazione di questa norma abbiamo denunciato l’inutilità di interventi legislativi di questo tipo, la cui 'utilità' – sin dalla loro approvazione – era evidentemente di tipo mediatico, piuttosto che 'di governo' di un fenomeno importante e delicato come quello migratorio. E abbiamo stigmatizzato l’approccio demagogico che sta dietro una norma che punisce non un comportamento ma una condizione e che ha contribuito a incidere negativamente sulla credibilità del nostro Paese a livello europeo. Nei cinque anni trascorsi, infatti, gli effetti della suddetta norma non solo hanno manifestato tutta la loro inutilità ma, ancor peggio, hanno appesantito la macchina amministrativa, che per questo ne ha chiesto il superamento. Ci troviamo, dunque, di fronte a una norma che è fortemente discriminatoria e al contempo pesante e costosa per l’amministrazione pubblica. Un provvedimento ingiusto, inefficace e costoso, tant’è vero che anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti ha chiesto la depenalizzazione, e che – ancor prima – in tal senso si erano espresse sia la Corte costituzionale sia l’Unione Europea.
Eppure, nonostante che nell’aprile 2014 il Parlamento avesse dato 18 mesi di tempo al governo per procedere alla depenalizzazione del reato d’ingresso irregolare, si continua in quella che potremmo definire una sorta di omissione legislativa. Pensare di gestire l’immigrazione irregolare attraverso interventi sostanzialmente punitivi, vuol dire nei fatti non intervenire su dinamiche che necessitano, invece, di interventi ben più complessi che, a quanto pare, non si vuole o non si è in grado di attuare. Certamente la depenalizzazione del reato di immigrazione irregolare, seppure ragionevole e motivata, potrebbe costituire in questo momento una iniziativa 'impopolare'. Ma proprio qui è il paradosso: rispetto al disastro di anni in cui in molti ambiti – non solo quello della giustizia, ma anche quello economico – alla verità si è sostituita la menzogna e l’inganno di dichiarazioni roboanti o vuote e di provvedimenti normativi inutili se non dannosi, ora non si cerca di costruire una comunicazione pubblica finalmente onesta e fondata, ma si continua a evocare la questione della 'percezione' dei fenomeni, preferire una deformante 'rassicurazione' alla realtà. Come se Churchill avesse detto «ci scusiamo di qualche temporaneo disagio» per spiegare il dramma della guerra totale con la Germania nazista, piuttosto che scandire davanti al popolo della Gran Bretagna la onesta e drammatica promessa di «lacrime e sangue». Come se Roosvelt agli Stati Uniti annichiliti dalla crisi del 1929 avesse evocato ristoranti pieni e maggioranze di vacanzieri, piuttosto che ammonire gli americani a uscire di slancio dall’angolo avendo «paura solo della paura».
Perché è proprio la paura il vero nemico da sconfiggere. Un avversario che non si sconfigge mentendo e blandendo, ma cercando di comunicare con onestà – insisto – una prospettiva chiara, una direzione di marcia giusta e ragionevole, aiutando un Paese in parte diseducato a ragionare sul merito delle questioni, a ripartire anche da una politica che usa, sì, l’arma della persuasione, ma non quella dell’inganno. Fino a quando gli interessi della politica non saranno, però, capaci di fare gli interessi delle persone, ci troveremo in uno Stato che facciamo fatica a definire 'di diritto'. Perché una cosa è certa: il governo deve depenalizzare la norma sulla 'clandestinità' e i tempi che gli sono stati dati dal Parlamento sono scaduti. Le parole ascoltate in queste ore fanno pensare a una politica che per legittimarsi al cospetto di settori dell’opinione pubblica rischia di stravolgere le regole democratiche e questo, purtroppo, avviene quasi sempre quando si tratta di tutelare le persone più vulnerabili, coloro che non hanno voce. Il pericolo reale è di riproporre una immagine della politica come mediazione al ribasso, come tatticismo esasperante, che tradisce il dato di realtà di una norma e che impedisce – sì, addirittura impedisce – di perseguire i mercanti di uomini e di donne che lucrano sulla disperazione di migranti e profughi. Il ruolo che l’Italia sta giocando nel panorama delle migrazioni, in questa delicata fase della nostra storia, appare fondamentale e viene riconosciuto da tutti. L’operazione 'Mare Nostrum' in primis e il grande sforzo nell’accoglienza dei profughi che raggiungono le nostre coste, costituiscono elementi di cui andare orgogliosi in Europa e nel mondo. Ieri il Santo Padre, nel discorso tenuto al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, è infatti tornato a esprimere «una particolare riconoscenza (...) all’Italia, il cui impegno deciso ha salvato molte vite nel Mediterraneo e che tuttora si fa carico sul suo territorio di un ingente numero di rifugiati».