Almeno ottocentomila persone, solo in Italia, sono dunque malate di gioco, dipendono psicologicamente dal gioco compulsivo, e ben quasi due milioni sono a rischio: rischiano di perdere la propria salute psichica e la salute economica, almeno, delle proprie famiglie. Ma i danni non si riducono a questo, in gioco vi è l’equilibrio della società intera, poiché è la complessiva dimensione spirituale dell’uomo a essere intaccata, non le sole risorse economiche. A rilanciare la denuncia con lucidità e vigore, come i lettori di
Avvenire sanno bene, è stato il cardinale Angelo Bagnasco, che intervenendo il 24 febbraio scorso a un convegno genovese – organizzato dalla Fondazione antiusura – dedicato a «Gioco d’azzardo e usura», due piaghe strettamente connesse fra loro, ha tra l’altro affermato: «La vita non è un colpo di fortuna. Oggi si vuol far credere che la sostanza del tempo risiede nel successo e nell’apparenza, nella quantità delle esperienze gratificanti; e che per ottenere questa patina luccicante sia inevitabile tentare la sorte e giocarsi le sostanze. La falsità sistematica di certa pubblicità è una forma delittuosa perché intorbida la verità delle cose, ed è un attentato alla società. Ma non si tratta solo delle proprie risorse, si tratta anche e in primo luogo di qualcosa di spirituale, di intimo, che non si vede e non si pesa, che non si compra, ma che vale la vita stessa, che definisce l’uomo non in ciò che ha ma in ciò che è». Il cardinale Bagnasco coglie benissimo la vera sostanza in gioco, di qualità spirituale. Forse per questo la solidarietà e l’approvazione raccolte da
Avvenire per la serie di documentati articoli che va dedicando da tempo (e con particolare intensità in queste settimane) alla diffusione in Italia di questa vera e propria epidemia, ai suoi pericoli individuali e sociali, non si contano.L’enorme crescita del gioco d’azzardo, di ogni tipo di lotterie, persino dei giochi a premio televisivi, è sempre grave: sia che si tratti di attività illegali, sia legalizzate o legali. Anzi, nel secondo caso lo è in modo ancora maggiore, poiché genera una discrasia fra legalità e moralità, oppure riforma la morale riducendo l’uomo a ciò che ha in denaro, ma vinto per fortuna o per caso. Pubblicizzare il gioco di denaro è immorale, diseducativo, è un attentato alla società intera e ai principi spirituali dell’uomo. Vi è una differenza radicale fra fortuna e dono, come fra avere ed essere, casualità e gratuità. L’esistenza umana è incerta, inquieta, peregrinante, ma in quanto dischiusa da un dono originario, da ultimo mistero imperscrutabile, aprendosi alla trascendenza del quale essa può trovare orientamento alla propria libertà, finita ma capace di grandi cose, attraverso la fiducia, la costanza, la dedizione, la laboriosità, l’altruismo, l’amore più grande di ogni interesse utilitaristico o miope illusione. Già più di un secolo fa, prima di diventare uno dei padri fondatori della nostra Repubblica, Luigi Einaudi denunciava come iniquo e immorale il «lotto di Stato». Si tratta infatti di una tassa sull’illusione di vincita al gioco, che colpisce soprattutto la cerchia sociale poco istruita e meno abbiente. Permettere, organizzare, pubblicizzare ciò è diseducativo e immorale, perché, illudendo di potersi arricchire dissipando i propri guadagni, disabitua al risparmio e alla dedizione al lavoro: basi di vita moralmente sana e fiorente economia, per l’economista carrucese. La vita umana non procede a colpi di fortuna, né consiste principalmente di risorse economiche e numeri del lotto. Vedere pubblicizzato ciò ai telegiornali nazionali induce a credere che l’idolo denaro abbia sostituito non solo lo stato, ma persino Dio.