Storie di montagna. Ilda, da mezzo secolo al rifugio con la famiglia
Ilda Trafoier Cavallari, terza da sinistra, tra figli, nipoti e amici al Rifugio Stella Alpina, dove torna da 74 anni
Vivere il presente e immaginare il futuro nelle «terre alte». Ha 82 anni, e da una vita gestisce insieme a figli e nipoti il rifugio Stella Alpina, tra Trentino e Alto Adige. Un nido in cui le generazioni si ritrovano unite dall’amore per la montagna. Si vive stretti dentro i nidi d’aquila. Ma s’impara a stare al posto giusto e a condividere tutto. E vi si torna volentieri, ogni anno. È stato ed è ancora un nido caldo per due famiglie numerose, i Trafoier e i Cavallari, il rifugio “Stella Alpina” che, da 74 anni, si staglia all’orizzonte fra la trentina Val di Rabbi e l’altoatesina Val d’Ultimo, proprio come un’aquila di questo Parco Nazionale dello Stelvio appostata lassù, a 2.425 metri, in attesa di chi sale.
Un’arzilla bisnonna di 82 anni, Ilda Trafoier in Cavallari, è pronta, fin da quand’era bambina, ad accogliere gli escursionisti e non manca di riaprire il nido a metà giugno esattamente da 52 anni, quasi un record. «Grazie a Dio sono sempre salita quassù, una volta avevo anche le stampelle a seguito di un’operazione alla gamba e c’eravamo anche nelle due difficili estati del Covid», precisa, con riconoscenza, nel suo buon italiano con la tipica erre altoatesina. Sa di essere testimone vivente di una storia di resistenza e di legami parentali che si ritrova in molti altri rifugi alpini dove “l’effetto famiglia” assicura calore e longevità. Dove figli e nipoti salgono da sempre a dare una mano, dove ora si festeggiano i compleanni con gli ospiti, ma dove si è sperimentata anche la fatica di una sobrietà necessaria: «Nei primi dieci anni mancava perfino la luce elettrica e l’acqua fino agli anni Settanta arrivava solo in cucina», esemplifica Ilda che sotto questo rustico tetto di legno è vissuta quattro volte: dapprima come figlia (con due fratelli e due sorelle), poi mamma di cinque figli (quattro maschi e una ragazza), quindi nonna di sei nipoti ed ora bisnonna della piccola Alessia.
Anche quest’anno è voluta salire con le sue gambe, facendosi le due ore di rampa da Malga Caldesa Alta, pronta a ricoprire il suo ruolo carismatico di anima genuina del rifugio, oltre che di titolare. «Ci sembra giusto che il rifugio sia intestato a lei, perché la mamma è sempre stata il punto di forza quassù – conferma il primogenito Walter, anche a nome di Roberto, Fabio, Nadia e Cristian – ci ha sempre dato la carica e ci ha portato a realizzare tante cose. Le siamo molto riconoscenti e siamo contenti che sia sempre qui con noi». Basta vederla all’opera, apparentemente defilata, per comprendere la sua autorevolezza sorridente legittimata dall’affetto. Nonna Ilda risponde ancora al telefono per lasciar liberi i figli e le nuore, spiega agli ospiti la ricetta delle crostate e degli strudel, indica ai ragazzi dove poter vedere i salmerini nel vicino Lago Corvo, consiglia le possibili traversate ai rifugi “Dorigoni” in val Saent e Canziani in val d’Ultimo, con i cui gestori ha rapporti di ottimo vicinato.
Sul far della sera – il Brenta davanti e la Presanella più lontana – contempla dal balcone i giochi dei camosci, gli stessi che inseguiva da ragazzina. Erano i tempi in cui suo padre Mattia, classe 1916, con sua madre Frei Frieda, di due anni più giovane, era salito dal maso Flum di Santa Gertrude in Val d’Ultimo per raggiungere a dorso di mulo o di cavallo quel crinale di confine, dove aveva costruito un rifugio mistilingue fin dalle fondamenta: muratori trentini e carpentieri altoatesini. « Finirono i lavori in un anno, non si fermarono nemmeno d’inverno, perché non venne mai la neve», sottolinea Ilda che, nelle prime estati, aveva il compito di scendere ogni due giorni a prendere il latte alla malga più vicina.
Come in ogni casa, non mancarono le giornate nere. Nel 1957 scoppiò un terribile incendio che distrusse il maso altoatesino e costrinse i Trafoier a ripartire spostandosi sul versante trentino, in val di Rabbi, dove a partire dal 1970 gestirono un bar e d’estate migliorarono lo “Stella Alpina”, non più solo riferimento estivo per cacciatori e valligiani, ma rifugio accogliente per un turismo più esigente. Arriva però un altro brutto colpo per Ilda: «Sono rimasta vedova a 50 anni, perché mio marito Carlo se ne è andato nel 1991, dopo una breve malattia. Ma, grazie ai miei cinque figli, siamo riusciti ad andare avanti e crescere, ristrutturando il rifugio negli anni Ottanta e poi nel 2012 secondo le esigenze di sicurezza ». Hanno ricavato anche un confortevole locale invernale, dove d’estate si parcheggiano i rampichini di tanti bikers: « Fra i clienti arrivano anche nipoti dei nostri storici clienti», osservano al bancone.
Nell’album di appunti del rifugio “formato famiglia” si annotano anche le avversità. In montagna possono venire dal cielo («un’estate lontana contammo ben otto nevicate al punto che decidemmo di scendere a valle due settimane prima»), da qualche incidente che porta a chiamare nella vicina piazzola l’elicottero («fra gli ospiti c’è stato anche un infarto mortale », ricorda con tristezza Ilda) e negli ultimi anni dall’epocale impatto della pandemia. Come avete combattuto il Covid nell’isolamento del rifugio? « Adattando i locali e rispettando le regole. All’inizio temevano un contagio visti gli spazi ristretti, invece è andato tutto bene». L’ultima minaccia viene dalla diffusione degli orsi nella vicina Val di Sole, segnata quest’anno dalla prima aggressione mortale. « Da allora molto è cambiato – conferma Ilda – nella zona del rifugio non li abbiamo mai visti ancora, ma per il futuro siamo preoccupati. Non possiamo andare avanti così, altrimenti nei boschi non ci andrà più nessuno», conclude esprimendo lo stato d’animo non solo degli operatori turistici, ma della maggioranza dei valligiani.
Tra pochi giorni salirà il prete “di famiglia”, don Ruggero Zucal, parroco montanaro nell’alta valle di Non, che si ferma volentieri al rifugio quando porta in gita i suoi ragazzi agli splendidi laghetti glaciali sotto cima Collecchio, un ardito tremila. « Don Ruggero ci è proprio amico. Dice per noi la Messa d’inizio estate sui tavoli all’aperto rifugio e per tutta la famiglia l’appuntamento è atteso, sentito». Per lei, legata all’esempio di bontà di papa Roncalli, rappresenta un affidamento a cui non è mai venuta meno durante la sua vita avventurosa cominciata in Alto Adige e proseguita in Trentino. Un’esperta di terre di confine e di minoranza, Ilda. « Per me sono importanti le persone, vengono prima di ogni discorso etnico o politico». Lo ha ripreso anche Reinhold Messner nel suo reportage quando è passato a dormire allo “Stella Alpina”, con Hans Kammerlander, durante il suo giro in alta quota sui rifugi di confine, apprezzando la polenta con lo spezzatino di nonna Ilda.
Lunga vita al nido d’aquile del Lago Corvo, finché ci sarà questo valore aggiunto della famiglia e nessuno si chiede chi raccoglierà l’eredità valoriale del rifugio. «Sento che non ne vogliono parlare – confida Ilda – anche i miei nipoti, ma io comincio a dire che la nonna un giorno non ci sarà più: è la ruota della vita». Concorda Walter, prima di salutarci con un grappino al ginepro: « Non pensiamo troppo al futuro, andiamo avanti di anno in anno, soddisfatti di qualche bella soddisfazione e di quanto viviamo ogni estate al Lago Corvo».