Opinioni

Ancora sugli insulti a Carola Rackete. Il vero senso del pudore

Mauro Leonardi martedì 2 luglio 2019

Vengono resi pubblici, e poi subito cancellati prendendone maldestramente le distanze, video schifosi contro Carola Rackete, la comandante della “Sea Watch 3”. Quelle parole sono il miglior spot a favore del pudore, valore sul quale si può discettare quando si è stesi in spiaggia a prendere il sole sorseggiando una granita, ma che insorge invincibile in casi come questi. Quando il contrasto politico diventa invettiva sessista, bisogna fare un discorso sul pudore perché è necessario dire che la vergogna non riguarda solo i centimetri e i gesti da compiere in pubblico o quelli da destinare all’intimità, ma si riferisce anche alle parole. Le parole, soprattutto in epoca di Internet, vanno sorvegliate più dei gesti. Perché, lo si vede anche in questo caso, non basta cancellare qualcosa dalla propria piattaforma perché vengano cancellati anche dal web, e perché le parole arrivano in profondità, minano dentro. La violenza fisica è terribile, ma quella psicologica è forse ancora peggio.

Il pudore è il velo della dignità e del rispetto con cui ci rivestiamo e con il quale riteniamo necessario porre una doverosa membrana tra noi e agli altri, perché significa la protezione che vale il rispetto della persona “come persona”, quella cioè al di là delle convinzioni politiche. Il pudore viene spesso visto come valore minore associato com’è di frequente, a virtù più altisonanti quali la castità o la verità. Invece, proprio quando la crisi è grande, il valore “piccolo” del pudore è necessario e splende. Splende non perché relativo al grande, come di luce riflessa, splende da se stesso per la sua capacità di cogliere gli equilibri lievi. I frequenti riferimenti di papa Francesco al «fare chiacchiere» (l’ultimo è stato a Pentecoste) riguardano anche il pudore perché il senso di questa virtù non sta solo nei centimetri di pelle scoperti ma anche nei centimetri di anima raccontati senza che ce ne sia l’adeguata necessità.

Il pudore, però, più che un discorso, è “un senso”. Come il senso del buon umore, il senso del ridicolo, il senso della misura, quello estetico, quello della giustizia o quello del buon gusto, è un criterio pratico che è vero in quanto avvertito, non perché teoricamente spiegato o dimostrato. E così gli insulti a Carola Rackete sono schifosi senza dover spiegare il perché.

La minuta virtù del pudore, si trova, nei momenti attuali, ad adempiere un compito straordinario: aiutare l’uomo contemporaneo a superare una delle più laceranti ferite del suo vivere quotidiano, la dicotomia anima-corpo. E tutto ciò, va detto, non è solo a favore dell’anima, ma anche di quello del corpo. Se si perde il senso dell’anima, si perde anche il corpo perché chi non sa cos’è la destra, dimentica anche cosa sia la sinistra. Chi ha difficoltà a rendersi conto che le nostre anime siano conculcate ogni giorno, rifletta su quanto il nostro corpo reclama, su come si lamenta di essere dimenticato. Il corpo chiede di essere messo in gioco ma a corpi senz’anima non si possono offrire anime senza corpi. È necessario assolutamente allontanare da noi qualsiasi punto di vista basato sull’idea che il corpo sia solo un insieme di fastidiosi inconvenienti. Questo genere di mentalità, che per osmosi dal corpo si trasferisce alla storia, al mondo, e infine alla realtà tutta, conduce inevitabilmente ai due estremi dell’utopia e del disincanto. Il pudore è una sapienza pratica, come l’arte, e l’arte ha bisogno di gente commossa, non di gente riverente. Dire che gli insulti a Carola Rackete sono irricevibili e punto, che lo sono a prescindere da qualsiasi ragione politica, vuol dire educare alla capacità di discernere con facilità, per istinto, se sia o no pudica una situazione. È questa educazione è semplicemente rendersi conto di essere disagio, di “diventare rossi”, di commuoversi in negativo. Perché quegli italiani che a Lampedusa hanno detto quelle cose, mi fanno vergognare e fanno venir voglia anche a me di chiedere scusa, come italiano, alla capitana della “Sea Watch”.

P.S.
Le considerazioni qui sopra riportate prescindono dalla questione della Sea Watch. Gli insulti, che siano contro Carola Rakete, Giorgia Meloni o Matteo Salvini, sono sempre irricevibili e condannano solo chi li pronuncia. È la linea del rispetto che da quando scrivo porto avanti, a volte con fatica, ogni giorno.