Le opinioni dell’oncologo Umberto Veronesi sull’omosessualità, manifestate a margine della presentazione della Conferenza di Venezia sul futuro della scienza, dovrebbero meritare tanta attenzione quanto ipotetiche opinioni sull’oncologia di Franco Grillini o di qualsiasi altro rappresentante del movimento gay. Così però non è e ne conosciamo tutti le ragioni. Quando parla da scienziato Veronesi merita ogni rispetto; quando però parla omosessualità egli si avvantaggia di un’esposizione mediatica che gli consente di suggestionare indebitamente l’opinione pubblica con argomenti incredibilmente poveri. La specie umana, egli ha sostenuto, a causa dell’omologazione dei ruoli sociali, si starebbe evolvendo verso una "nuova sessualità", che trascenderà la bipolarità uomo/donna. Ma questa "omologazione" (o come la si voglia chiamare) non è esplosa solo da un secolo a questa parte? E che cosa è un secolo per i tempi lentissimi dell’evoluzione? Come può Veronesi avere la certezza che questo processo di omologazione sia costante, irreversibile, unidirezionale? E come è possibile introdurre tra i fattori chiamati ad operare nell’evoluzione, che è governata dal "caso" (come ci spiegano i darwinisti), mutamenti di carattere non genetico, ma sociale? Il disinvolto richiamo da parte di Veronesi all’evoluzione è uno straordinario esempio di come una rispettabile teoria scientifica, come quella di Darwin, possa prestarsi ad inaccettabili utilizzazioni ideologiche. Le esternazioni di Veronesi sull’omosessualità non si sono però fermate qui, anzi sono state ancora più incisive. In quanto non orientato alla procreazione, ma attivato esclusivamente dal fascino personale del partner, ha sostenuto Veronesi, l’amore omosessuale sarebbe più puro di quello eterosessuale. È una variante di un antico argomento, carissimo in particolare a Schopenhauer: la "natura", pur di farci fare figli, avrebbe "inventato" il piacere sessuale: amando il proprio partner l’essere umano soddisferebbe apparentemente un proprio desiderio, ma in realtà asseconderebbe senza rendersene conto i progetti procreativi della natura. Se Veronesi si fosse fermato a ribadire questa tesi poco male, dato che, letta "naturalisticamente", non è affatto una tesi stravagante. Ma egli la riqualifica attribuendo all’amore omosessuale una "purezza" che mancherebbe a quello eterosessuale: tesi francamente inconsistente, dato che di fatto ambedue le forme di eros sono attivate dal desiderio suscitato, se non dalla persona, almeno dal corpo dell’altro. Per di più, se la tesi di Veronesi avesse consistenza, dovremmo considerare deviato dalla sua costitutiva "purezza", se non addirittura aberrante, il desiderio procreativo di alcune coppie di omosessuali, che le muove a chiedere il riconoscimento legale del matrimonio gay. Torniamo sul piano della realtà. Tutti i mammiferi hanno pulsioni sessuali, ma solo gli esseri umani si innamorano. Che l’eros sia costitutivo della nostra identità è percezione di tutti. Ciò che oggi sempre meno persone percepiscono è che attraverso l’eros in quell’essere vivente mortale che è l’uomo si manifesta qualcosa di immortale, la gravidanza e la generazione: e questo prima ancora che essere l’insegnamento della Chiesa, è quello del più grande filosofo dell’Occidente, cioè Platone (
Simposio, 206c). La "purezza" dell’amore non la si valuta nell’astrazione dei concetti, ma misurando l’amore stesso sul duro metro della nostra realtà fisica, che distingue gli esseri umani in uomini e donne, assolutamente pari nella dignità e assolutamente diversi nelle loro potenzialità riproduttive. È in questo riconoscimento che è chiamato a radicarsi un amore umano non alterato da nevrosi o da ideologie. In questa mia (peraltro elementare) osservazione, attendo con pazienza darwiniana di essere smentito da quelle dinamiche evolutive in cui Veronesi fa tanto affidamento.