Opinioni

Il vero allarme. Morti in mare e deficit di umanità

Marco Impagliazzo venerdì 4 agosto 2017

Da qualche tempo l’opinione pubblica è costantemente aggiornata sui numeri degli approdi di profughi sulle nostre coste. Quotidianamente si contano gli arrivi e le variazioni rispetto agli anni precedenti, evidenziando un quadro emergenziale, anche se luglio 2017 ha segnato numeri complessivi in calo. Il messaggio subliminale è che le persone approdate in Italia sono comunque troppe. Questo contribuisce ad alimentare l’allarme sociale e offusca visioni più equilibrate della questione. Più raramente o molto poco, si parla delle proporzioni della straziante carneficina che è l’attraversamento del Mediterraneo: dal Medio Oriente e dall’Africa verso l’Europa. Eppure i morti in mare – uomini, donne e bambini – rappresentano una ferita, che brucia e fa male.

Non è un caso che il primo viaggio di papa Francesco, l’8 luglio 2013, fu a Lampedusa: «Chi ha pianto – disse – per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? La globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!». Questo il problema: di fronte a tante notizie di dolore, sembra che la nostra società abbia perso la capacità di piangere. Eppure il vero allarme e il punto di partenza di ogni ragionamento è – e dovrebbe essere per tutti – il dolore per la perdita di queste vite umane.


Molto è stato fatto dagli ultimi governi italiani, attraverso la Guardia costiera e la Marina militare per salvare vite nel Mediterraneo. Significativa è l’opera di Ong italiane e internazionali a sostegno di queste operazioni di salvataggio (e di altre) nel pieno rispetto delle leggi internazionali e del mare. Oggi alcune Ong non hanno accettato il "Codice di condotta", proposto dal Viminale, perché sostengono che alcune regole rischiano di snaturarne l’identità. In particolare quelle che prevedono la presenza a bordo di funzionari «armati» e il fatto che a bordo si debba contribuire alle attività investigative e di polizia. Si tratta di valutazioni legittime e di rimostranze comprensibili, sulle quali si può e si deve ragionare e al quale sembra abbastanza agevole trovare risposta. Del resto, siamo davanti a un "Codice di condotta" e non a una nuova legge dello Stato.

Ciò che più preoccupa è che – da parte di alcuni esponenti del mondo politico, intellettuale e informativo – si continui a diffondere il sospetto sull’opera di salvataggio di queste organizzazioni che operano nel totale rispetto delle leggi internazionali e di quelle più antiche del mare. Naturalmente tutti sono chiamati ad agire nell’ambito della legalità, e dunque vedremo gli esiti delle indagini su una di esse, tedesca, che hanno portato al sequestro della barca che sta utilizzando nel Mediterraneo. È strano, però, che gli uomini e le donne di organizzazioni benemerite come "Me dici senza frontiere", quando operano in Asia, in Africa o in America Latina sono considerati al pari di eroi, mentre se agiscono ai bordi dell’Europa vengono guardati e indicati addirittura con sospetto.


Le polemiche di questi giorni non aiutano a dare risposte alla questione migratoria. Perché è di risposte che abbiamo bisogno e non di continue polemiche. Una di queste sono i corridoi umanitari che non solo rispondono alla grande crisi umanitaria dalla guerra in Siria o dalle terribili condizioni nel Corno d’Africa, ma sono anche liberazione dai mercanti di vite umane. Il giro d’affari della criminalità organizzata sugli sbarchi effettuati dal 2011 a oggi ammonterebbe a più di 4 miliardi di euro, con un aumento di oltre 300 punti percentuali nel triennio 2014-16 rispetto al precedente.


L’iniziativa dei corridoi umanitari, partita nel gennaio del 2016, nasce come risposta alle tante tragedie davanti alle nostre coste. Ma è la possibilità che la Chiesa e le comunità cristiane offrono, d’intesa con le autorità civili, ai profughi di non barattare il rischio della vita con l’esigibilità del diritto alla protezione, rendendolo illusorio.

I corridoi, canali di accesso sicuri e regolari dei migranti, sono anche una proposta agli Stati europei di un modello per affrancarsi dalla contraddizione di disporre di un quadro giuridico molto avanzato, forse il più garantista al mondo, ma al tempo stesso di difficilissima applicazione. I corridoi aprono al tema della sponsorship da introdurre in Italia e a quello di ricongiungimenti familiari più ampi e semplici. Tanti immigrati sono irregolari, soltanto perché non è possibile il ricongiungimento familiare, prima forma d’integrazione in una società. Insomma dai corridoi s’intravede un modello ben regolato di governo delle richieste di asilo. Va inoltre affrontato il tema più complessivo delle vie legali d’ingresso di migranti, anche attraverso quote, vera alternativa all’illegalità e alle tragedie. Tutte queste possono essere le risposte di un’Europa per cui il diritto, la solidarietà e la democrazia non siano soltanto – come ha detto il Papa – la «sua ultima utopia».