La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che verrà chiusa domani sera dai Vespri presieduti dal Papa in San Paolo fuori le Mura, si colloca quest’anno all’interno di uno scenario che non è enfatico definire di nuova fioritura ecumenica. L’elezione di Papa Bergoglio ha dato, infatti, un rinnovato impulso alle relazioni tra le diverse confessioni, perché Francesco ha profuso in questo campo quella particolare sensibilità che aveva già dimostrato da arcivescovo di Buenos Aires. Non è un caso che fin dal primo giorno si sia definito «Vescovo di Roma», attirandosi così le simpatie del mondo ortodosso (e forse ancor più di quello protestante), e aprendo la strada a un altro storico avvenimento: la partecipazione per la prima volta di un Patriarca di Costantinopoli alla Messa di inizio di un pontificato. E risponde sempre a un rapporto di causa-effetto anche l’annunciato incontro di maggio in Terra Santa tra il Papa e lo stesso Patriarca Bartolomeo, a cinquant’anni dallo storico abbraccio tra Paolo VI e Atenagora.Il 2014, dunque, potrebbe rivelarsi un anno chiave per il cammino verso la ricerca dell’unità dei cristiani, anche e soprattutto alla luce di questo importante evento. Non mancano, è vero, ostacoli e problemi (c’è una notevole differenza, ad esempio, tra i rapporti con Costantinopoli e quelli con Mosca, e c’è anche tensione interna tra i due centri più importanti dell’ortodossia). Ma la sensazione è che Francesco voglia impegnare nel dialogo ecumenico la stessa energia con cui ha finora affrontato altri problemi cari alla sua sensibilità e che mediaticamente hanno ottenuto più
audience rispetto ai rapporti con le altre Chiese cristiane. Un’ulteriore prova si è avuta mercoledì scorso all’udienza generale, quando il Papa non solo ha sottolineato che le divisioni tra i seguaci di Cristo sono «uno scandalo», ma lo ha fatto con un tono di voce e una forza che non lasciavano spazio per i dubbi: questa è e sarà una delle priorità del suo pontificato. «L’ecumenismo – ha scritto del resto nella
Evangelii gaudium – è una via imprescindibile dell’evangelizzazione».La conferma viene anche dallo spazio che gli incontri ecumenici hanno finora avuto nella sua agenda. Al 20 marzo, cioè il giorno dopo la Messa di inizio pontificato, risale il primo incontro con i rappresentanti delle Chiese e delle comunità ecclesiali (incontro nel quale chiamò con felice espressione Bartolomeo «mio fratello Andrea», riferendosi all’Apostolo fratello di Pietro, patrono della Chiesa bizantina). Al 14 giugno l’incontro con l’arcivescovo di Canterbury e primate anglicano, Justin Welby. Al 29 giugno l’udienza alla delegazione del patriarcato di Costantinopoli per la festa di san Pietro (che una delegazione vaticana ricambia tutti gli anni il 30 novembre al Fanar per la festa di sant’Andrea). Al 21 ottobre il discorso alla Federazione Mondiale Luterana e, infine, allo scorso 17 gennaio l’incontro sempre in Vaticano con una delegazione ecumenica della Finlandia.E proprio le parole pronunciate in quest’ultimo appuntamento sono di grande importanza per comprendere come il Papa veda l’ecumenismo. Francesco ha distinto infatti tre livelli di dialogo, complementari e dunque tutti e tre necessari. C’è il dialogo teologico, per comprendere e superare le divergenze dottrinali, c’è il dialogo in vista della comune testimonianza da offrire al mondo (soprattutto in ordine ai temi eticamente sensibili) e c’è un dialogo spirituale che richiede preghiera, conversione del cuore e santità di vita.Oggi questi tre livelli non godono tutti del medesimo stato di salute. E soprattutto variano a seconda dei rapporti di Roma con le diverse confessioni cristiane. Anzi – se prendiamo in considerazione il mondo ortodosso – possono variare a seconda che si tratti di Mosca o di Costantinopoli. In merito al dialogo teologico, per esempio, è noto che la questione più spinosa attualmente sul tavolo sia quella del Primato di Pietro. La proposta di Paolo VI ad Atenagora («cercheremo di trovare l’unità. Nessuna questione di prestigio, che non sia quello stabilito da Cristo. Assolutamente nulla che tratti di onori, di privilegi. Vediamo quello che Cristo ci chiede e ciascuno prende la sua posizione. Ma senza alcuna umana ambizione di prevalere, d’aver gloria, vantaggi. Ma di servire») ancora attende piena realizzazione, nonostante qualche passo avanti e un’enciclica (la
Ut unum sint di Giovanni Paolo II) in cui si offriva la possibilità di ridiscutere delle forme di esercizio del primato stesso. La questione è stata anche al centro di una sessione di lavoro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, che ha pubblicato nel 2007 a Ravenna un documento, al quale hanno fatto seguito altri vertici a Cipro e Vienna. Ma ai russi quel documento di 7 anni fa non è mai piaciuto e perciò restano fermi nella loro convinzione che «la Chiesa di Roma è una delle Chiese locali autocefale, senza alcun diritto di estendere la propria giurisdizione al territorio di altre Chiese locali» (citazione tratta da un testo ufficiale del Patriarcato di Mosca dello scorso 26 dicembre). Invece, a livello di impegno comune tra le due Chiese su temi come vita e famiglia, si sono fatti passi avanti, come ha potuto constatare di persona anche il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei Cristiani, ricevuto alla metà di dicembre sia dal patriarca Kirill sia dal metropolita Hilarion. In definitiva, dunque, mentre è già scattato il conto alla rovescia per l’incontro tra Francesco e Bartolomeo, resta ancora solo a livello di ipotesi quello tra il Papa e il patriarca moscovita (sarebbe il primo nella storia). Molto dipenderà anche dai rapporti interni tra Mosca e Costantinopoli. Che allo stato attuale continuano a non essere idilliaci. Bartolomeo ha invitato i patriarchi e gli arcivescovi di tutte le Chiese ortodosse a recarsi a Costantinopoli il 9 marzo, domenica dell’ortodossia nel calendario liturgico orientale, per accelerare la preparazione del Sinodo panortodosso fissato per il 2015. Ma i problemi relativi a uno scisma che divide la Chiesa ortodossa autocefala della Repubblica Ceca e della Slovacchia rischiano di far saltare l’appuntamento. Nonostante queste ombre, si può essere ragionevolmente ottimisti per il futuro. E mentre c’è attesa per ciò che il Papa dirà domani a San Paolo fuori le Mura, la sensazione è che l’incontro di maggio in Terra Santa sarà non un punto di arrivo ma di partenza per una nuova primavera ecumenica.