Il viaggio. Navigare tra bellezza e umanità: l’altra faccia dell’Amerigo Vespucci
Donne e uomini al lavoro sull'Amerigo Vespucci
L’altra faccia dell’Amerigo Vespucci, quella più vera, si scopre in navigazione. Una scoperta che accresce la bellezza delle immagini o della visita alla nave in porto. La comprensione dei meccanismi di funzionamento umani ancor prima che tecnici fa apprezzare di più questa nave unica al mondo. La bellezza suscita emozione, è il caso del Vespucci (attenzione al maschile tradizionalmente attribuito ai nomi delle navi della Marina Militare), ma conta quanto c’è dietro e dentro: i meccanismi, l’organizzazione, il cuore. Dentro c’è un alveare, esempio di organizzazione minuziosa e concentrato di umanità entusiasta.
La nave scuola della Marina Militare è uno dei pochissimi velieri antichi a tre alberi in grado di navigare. Adesso addirittura compie un giro del mondo di due anni. A 93 anni la nave è viva ed è popolata di giovani che riflettono il tessuto sociale nazionale nel modo più positivo. Ne colgo la sensazione vivendo alcuni giorni imbarcato nell’Oceano Indiano in questo villaggio galleggiante, dove su una lunghezza di 100 metri (ed appena 20 metri in media di larghezza) sono stipati oltre 250 marinai, ma quando si aggiungono gli allievi ufficiali dell’Accademia si superano le 450 presenze. Vivono insieme sottoposti alla disciplina militare, ma comunque sorridenti e impegnati in mille attività. Tutti al lavoro, in squadre o da soli. In ogni ora del giorno e della notte incrocio qualcuno che fa qualcosa: nocchieri impiegati in attività marinaresche coordinati dal nostromo, poi chi vernicia, chi lucida un ottone, chi è in plancia a seguire la rotta e schivare i tanti piccoli pescherecci, chi in cucina, chi alle prese con le macchine che alimentano la nave e tanti altri ancora. Sembra di assistere ad un riuscito esperimento di ingegneria sociale con la disciplina che si adatta ai tempi ma non li subisce.
Giovani che riescono a sopravvivere alle limitazioni nell’uso degli strumenti di comunicazione, social e cellulari, dormono in tanti in spazi angusti. Nel ventre della nave da una parte dormitori per gli uomini dall’altra le donne, che svolgono esattamente le stesse mansioni dei loro colleghi. Per gli allievi ufficiali le amache: tutto è fatto per risparmiare spazio. La mattina smontano le amache dove dormono sospesi sopra i loro banchi negli stessi locali che diventeranno aule di studio ed anche sale per la mensa. Ore di sonno pochissime, una prova dura, quella dell’imbarco sul Vespucci per gli allievi, temuta ed agognata. A sovrintendere questo pezzo di Italia che gira intorno al mondo, il Comandante. Ad assumere una così grande responsabilità su un simbolo di tanto valore materiale e soprattutto ideale è il Capitano di Vascello Giuseppe Lai, un sardo innamorato del mare e soprattutto legato con affetto al “suo” equipaggio. Mi dice che i marinai a bordo sono volontari, tutti hanno chiesto di partecipare all’impresa del giro del mondo con una nave dove si fa a gara per essere imbarcati. Ma è chiaro che, nonostante l’invidia di altri, non sono in vacanza. Sono sottoposti a prove anche psicologiche molto impegnative.
La lontananza dagli affetti è accentuata dagli ostacoli posti dalla navigazione in alto mare. Non c’è modo di raggiungere la propria casa per partecipare ad un lieto evento familiare o per salutare un genitore morente. È successo recentemente: c’è chi ha dovuto attendere la sosta a Mumbai (alla quale è seguita quella negli Emirati Arabi) per prendere tre voli all’andata ed altrettanti al ritorno per spendere poche ore a casa per i funerali del padre prima di tornare a bordo della nave che salpava dall’India dopo pochi giorni. Sono prezzi della vita in mare che molti ignorano. Lai comprende che i suoi marinai devono sentirsi parte di una squadra guidata da qualcuno che ha a cuore le loro esigenze e li ascolta. Camminiamo sul ponte e penetriamo nei locali interni, Lai si informa, dà disposizioni sulle attività, ma chiede anche notizie sulla vita dei marinai, sulla loro famiglia, vuole assicurarsi che sia assicurato il loro benessere. Mi riferisce anche del cambiamento a bordo con il pieno inserimento delle donne. C’è più maturità e rispetto generale, gli uomini hanno presto imparato a vivere in un contesto del tutto paritario ed amichevole con le colleghe.
Marina Militare
Accanto alle persone, gli strumenti. Una nave è un organismo composto da migliaia di parti. Balza agli occhi il cordame: chilometri di cime (non si dice corde, lo sa chiunque sia stato un po’ in mare) vengono continuamente trattate dai nocchieri diretti dal nostromo. È il regno della marineria. La nave è tecnologia ma anche un corpo vivo. Le cime vengono dalle corderie di Castellamare di Stabia. Tutti i componenti in fibra vegetale (cordami e vele) vengono sostituiti con periodicità annuale. Sono presenti 24 vele principali e circa 36 chilometri di cordame.
In ogni momento si vedono marinai pazientemente impegnati in attività di manutenzione. Volti sereni e concentrati con gesti semplici dedicati ad in impegno della cui importanza altrove sembra essersi persa la consapevolezza. In Marina invece si comprende che la manutenzione è cruciale, l’efficienza e il decoro delle strutture vanno mantenuti quotidianamente. D’altra parte, non solo la manutenzione preserva dal deperimento e previene lavori e spese maggiori, ma questo lavoro aiuta anche a saldare il legame tra ogni componente dell’equipaggio è quella che sente come la “sua” nave. Dovrebbe essere un esempio, ogni città potrebbe funzionare meglio se fosse rivalutata l’importanza della piccola e continua manutenzione. Motivazione, coinvolgimento, orgoglio sono evidenti in occasioni che aiutano a cambiare il ritmo delle giornate. Il 4 dicembre partecipo al festeggiamento di Santa Barbara, la patrona della Marina Militare. La giornata inizia con la Messa celebrata sul ponte del cassero dal cappellano. L’altare ha come sfondo la poppa della nave ed il blu del mare e del cielo. È impossibile sfuggire alla suggestione della lettura della preghiera del marinaio in un contesto così particolare.
Le giornate sono scandite ogni sera dalla cerimonia di ammaina bandiera. Una volta al mese esso ha un carattere solenne. L’equipaggio è adunato e viene letta la motivazione del conferimento di una medaglia d’oro al valore militare, i giovani si sentono partecipi di una storia importante con momenti dolore e di eroismo. Si procede quindi con il conferimento di promozioni e riconoscimenti quali quello di marinaio del mese. Tra i promossi c’è Bruno che ha guadagnato i gradi di sergente. È del Reggimento San Marco, viene da Reggio Calabria e mi parla con soddisfazione del difficile concorso che ha superato. Marinaio del mese è Luca, il Comandante attesta le sue qualità professionali e morali e rileva come in occasione di un’avaria sia sia «adoperato con costanza e determinazione, ingegnandosi nel preparare uno strumento utile al ripristino della continuità strutturale». Il ragazzo è orgoglioso del riconoscimento e tutti i colleghi lo festeggiano. Così si rafforza la motivazione di tutti. Nelle unità della Marina queste attività volte a fare squadra ed incentivare i singoli funzionano. Sono ampiamente praticate all’estero e nel settore privato. Perché non estenderle gradualmente nella pubblica amministrazione?
La Messa celebrata dal cappellano don Mauro il 4 dicembre, giorno di Santa Barbara - Marina Militare
Don Mauro è il cappellano. Porta una croce sul petto dell’uniforme che per il resto è uguale alle altre. Ha il rango di un capitano di corvetta, ma è amichevolmente vicino a ogni marinaio. Tutti possono avere il bisogno, magari inespresso, di parlare con lui. È livornese, il Vespucci è parte del suo paesaggio da quando era bambino e poi, dopo essere stato ordinato ed incardinato nell’ordinariato militare, ha navigato più volte con la Marina Militare. Mi dice che «mentre i giovani sono impegnati a stare insieme e con sé stessi in modo inusuale rispetto alla vita della nostra società, sento la missione di aiutarli a tirare fuori l’aspetto spirituale che c’è in ciascuno ed affrontare la sfida di questo contesto ma non come in un confessionale».
Nel Vespucci c’è anche uno spazio dedicato alla ricerca. Gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità svolgono indagini sull’impatto delle attività umane sul mare. Effettuano prelievi di acque ed analisi che hanno rilevato la presenza di elementi dannosi alla salute anche in zone molto remote. La Marina Militare è impegnata a salvaguardare l’ambiente nel quale opera e lo fa anche con organizzazioni come Marevivo nell’impegno contro le microplastiche. Il motto del Vespucci è “Non chi comincia ma quel che persevera”. La nave insegna la virtù della perseveranza agli equipaggi che nel tempo la compongono: capire che il sacrificio alimentato da motivazioni adeguate e da una volontà costante produce risultati. I frutti dell’impegno premiano lo spirito di iniziativa e lo collocano nel contesto di un lavoro di squadra. Gli italiani confermeranno l’amore per il Vespucci nel giro d’Italia che in primavera suggellerà il suo giro del mondo. Spero che colgano qualcosa in più oltre la bellezza del veliero, il fascino del suo lungo viaggio, l’orgoglio per la nave italiana. Spero che si comprenda cosa c’è dietro a questo e si colga la lezione di vita che la nave impartisce. Una squadra perseverante nel suo impegno può raggiungere ogni traguardo.