Coronavirus. Il vaccino anche per i poveri. La sfida del fondo «Covax»
Il 19 settembre, nel suo discorso agli operatori del Banco Farmaceutico, papa Francesco non ha espresso opinioni esplicite sul modo in cui si stanno gestendo gli accordi commerciali relativi al vaccino anti-Covid, ma ha sottolineato che «sarebbe triste se nel fornire il vaccino si desse la priorità ai più ricchi, o se questo vaccino diventasse proprietà di questa o quella Nazione». E invocando una globalizzazione della cura, ha concluso che il vaccino «dovrà essere universale, per tutti». Parole chiare indotte dalla constatazione che i Paesi ricchi badano più alla propria sicurezza che al bene dell’intera umanità. Anche se va detto che nella scala dell’egoismo ogni Paese si colloca a un gradino diverso.
Peggio di tutti gli Stati Uniti, che dopo avere notificato al Segretario generale delle Nazioni Unite la decisione di voler abbandonare unilateralmente l’Organizzazione mondiale della sanità, hanno messo in campo quasi 11 miliardi di dollari per garantirsi il vaccino entro la fine dell’anno nel quantitativo di un poco meno di 900 milioni di dosi. Le imprese farmaceutiche a cui il governo federale ha concesso contributi a fondo perduto e con le quali ha firmato contratti di preacquisto sono ben sei: Moderna, Sanofi, Pfizer, Novavax, Janssen e AstraZeneca. I numeri sono consultabili, con tanto di dettaglio, sul sito del Barda, l’agenzia statunitense addetta alla promozione dello sviluppo e della ricerca in campo biomedico.
Anche l’Unione Europea ha fatto i suoi passi per assicurare il prima possibile un certo numero di dosi ai Paesi membri. I contratti firmati dalla Commissione europea sono stati due: il primo, ad agosto, con AstraZeneca per 300 milioni di dosi, il secondo a settembre, con Sanofi, per un numero di dosi equivalente. Quanto ai prezzi pattuiti, purtroppo esistono solo congetture dal momento che la Commissione non ha svelato le cifre. L’opinione degli analisti è che il valore complessivo dei due accordi si aggiri sul miliardo e mezzo di euro, per metà versati alla firma sotto forma di anticipo, il resto da versare a saldo, direttamente dai Paesi acquirenti, a seguito della consegna.
Come gli Usa e l’Unione Europea, molti altri Paesi ad economia avanzata hanno stipulato accordi per l’acquisto anticipato del vaccino. Secondo il “British Medical Journal”, perfino la Gran Bretagna, che neppure raggiunge i 70 milioni di abitanti, ha firmato accordi commerciali con sei imprese farmaceutiche per assicurarsi 340 milioni di dosi. Un numero, sottolinea la rivista, che è oltre il fabbisogno dell’isola, contribuendo a un “sequestro” ingiustificato che alla fine va a detrimento dei Paesi più poveri i quali, arrivando per ultimi, rischiano di trovare il tutto esaurito. Una situazione già vista nel 2009 quando in alcuni Paesi si propagò l’influenza da virus AH1N1 di derivazione suina. Ed è proprio per evitare che il mercato possa essere razziato dai più ricchi, che alcune organizzazioni pubbliche e private, operanti sotto l’egida dell’Oms, hanno proposto a tutti i Paesi del mondo di convergere in un’iniziativa comune col duplice scopo di assicurare all’umanità vaccini condivisi e distribuirli secondo criteri e modalità che includono anche i più poveri.
L'idea è subito piaciuta a molti governi, ma i tempi politici, si sa, non sempre sono brevi e nell’attesa di una loro conferma, i proponenti hanno attivato subito tutti i meccanismi utili a far decollare la proposta. Per prima cosa hanno incaricato il Cepi, organizzazione non profit di promozione sanitaria con sede a Oslo, di sostenere finanziariamente tutte quelle imprese che oltre ad avere la capacità di produrre un vaccino anti-Covid, sono disponibili a mettere in pratica operazioni commerciali coordinate. Al momento, ne sono state individuate nove che Cepi ha sostenuto con 1,4 miliardi di dollari, ma per completare l’opera avrebbe bisogno di altri 700 milioni di dollari. Finora il maggiore finanziatore del Cepi è stato il governo britannico con 270 milioni di dollari, ma nella lista compaiono anche Norvegia, Germania, Arabia Saudita, Spagna. Al terzultimo posto arriva l’Unione Europea con 50 milioni di euro.
Scopo del finanziamento alle imprese è non solo quello di accelerare la messa a punto di vaccini efficaci e sicuri, ma anche quello di impegnarle a garantire una certa quantità di vaccino ai Paesi interessati a fare parte dell’alleanza. A tale scopo sono già state concordate forniture di alcune centinaia di milioni di dosi con imprese come AstraZeneca, Novavax e altre. Tuttavia gli acquisti non saranno effettuati direttamente dai Paesi richiedenti, ma da un fondo comune denominato Covax, finanziato dai contributi versati dai Paesi aderenti in proporzione ai quantitativi desiderati. Una strategia che se da una parte consente ai Paesi acquirenti di spuntare prezzi favorevoli grazie a un’accresciuta forza contrattuale, dall’altra cerca di garantire una certa equità distributiva tenendo conto dei bisogni di tutti in rapporto alle dosi disponibili.
Il tutto è integrato da un ulteriore fondo denominato Covax AMC, addetto all’acquisto di vaccini per i Paesi più poveri. Il fondo, infatti, non sarà alimentato con soldi forniti dai Paesi beneficiari, ma con denaro attinto dal circuito della cooperazione internazionale a cui partecipano i Paesi più ricchi e grandi istituzioni internazionali come la Banca Mondiale. Al momento al Covax AMC sono arrivati 600 milioni di dollari, mentre 92 Paesi, fra i più poveri del mondo, hanno chiesto di poter godere della sua assistenza. Sull’altro fronte, quello del Covax autofinanziato, per così dire, c’è da registrare l’interesse di 80 nazioni. Fra esse anche quello di Paesi a economia avanzata come Portogallo, Irlanda, Grecia, Giappone e Svizzera. Anche l’Unione Europea ha dichiarato l’intenzione di partecipare. Ma solo quando i soldi saranno stati versati si capirà chi fa davvero sul serio. I proponenti avevano posto come limite di versamento il 18 settembre. I dati richiedono di essere elaborati prima di essere diffusi. Tra poco sapremo.