Nelle strade di Milano circola da qualche giorno una vecchia vettura tramviaria, interamente ricoperta da una fitta granella di lucine brillanti. È come un dolce di pietre preziose, un monile gigante che si muove da solo. Un passaggio incantato, che fa spalancare gli occhi e suscita piccole onde di eccitazione fra i passanti. Mi ha colpito la reazione di molti giovani, abituati a tutto e assuefatti a tutto, che ne apprezzavano il passaggio, commentandolo come fosse il segno del possibile avvento di una città diversa: più trasparente, delicata, tenera da vivere. Quasi come se la vecchissima carrozza traballante fosse 'l’arca laica' di una nuova desiderabile alleanza per la città moderna, ormai ridotta a ostello; lo scrigno di un 'genius loci' che annuncia una città possibile, piena di umori vitali e di affetti intelligenti, nella quale sarebbe più bello vivere e condividere. Come fosse un tabernacolo di invisibili spiriti guida, un angelo con le ruote, che fa lo stesso effetto anche senza le ali. Un effetto strano, che lascia affiorare uno struggimento lieve di spiriti leggiadri e generosi, dei quali la città post-moderna non palpita più. Il tram è vuoto, a parte il conducente. O forse no. L’oggetto ha la sua componente commerciale e promozionale, inevitabilmente, bigiotteria ed effetti speciali compresi. Mi sono chiesto però come mai sia capace di un effetto così diverso. La sofisticata invadenza dell’arcobaleno di colori delle immagini commercia-li, che ormai avvolge per intero anche le vetture, non genera niente di simile. In verità, c’è una profonda differenza fra l’istupidimento dell’artificio e l’incantamento di una vitalità interiore, felicemente condivisa in mille piccoli gesti dell’abitare, del sostare, dell’incrociarsi e dell’intrattenersi nella città degli uomini. È curioso che un vecchio tram, semplicemente rivestito di luce, faccia una così grande differenza. Forse, fa effetto perché illumina il nostro vuoto più struggente. La perdita dell’anima, nella città moderna, si riflette nel vuoto di autentici incantamenti della vita. Non paradisi artificiali, oasi del benessere, e ciniche ingiunzioni al godimento che consuma tutto, sempre, comunque. Al contrario, grandezze e finezze dell’animo che si scoprono nel generare e nell’abitare, nel ricordare e nel condividere, nell’incrociarsi e nel sostare: infine, nella prossimità dell’umano che è più comune. La perdita di un habitat felicemente condiviso, se vogliamo dirla tutta, è l’effetto di una ossessiva rimozione dell’incarnazione di Dio. È questo il 'buco nero' della città moderna. Menti e macchine, siamo diventati. E corpi ridotti a fare il gioco di una regìa estranea all’umano. Lo spirito, invece, ha bisogno di carne e sangue per vivere. Fra le giovani generazioni, alle quali abbiamo cocciutamente insegnato un’altra strada, si muovono però, sottopelle, strane vibrazioni dello spirito. Una ventina di secoli fa, una ragazza meravigliosa, in un angolo apparentemente buio della storia, ha decifrato il formicolìo dell’incarnazione di Dio. La generazione di un figlio è entrata in presa diretta con la generazione del Figlio. Se n’è riscaldato il mondo, a partire da quello scampolo della periferia degli imperi. Una 'magia' improbabile ha portato doni fin lì, a nome dei popoli del mondo. E di angeli non ce ne sono mai stati così tanti, in un fazzoletto di terra così fuori mano. Non prendiamocela con le luminarie e i doni, non è quello il punto. Qui non è rimasto veramente 'nient’altro' che rompa la stupidità dei grigi. Facciamoci venire piuttosto un soprassalto di struggimento per le nostre cucciolate senza più mistero dell’Incarnazione. E alla messa di Natale, con il nostro bel groppo dentro, come Dio comanda, chiediamo la grazia di saper raccontare che un altro mondo, un’altra città, un’altra storia, esistono. Quella che i cuccioli imparano è ottusa e anaffettiva. I segni dello struggimento non mancano, però, se li vogliamo vedere. Persino un tram.