L'ospite. Il sentiero stretto di Aung San Suu Kyi
Caro direttore,
ora è il tempo di un grande sostegno ad Aung San Suu Kyi. Perché trovi soluzione la tragedia dei musulmani del Rakhine, e perché la Birmania resti sulla strada della democrazia. Non può essere lasciata sola lei che così si è rivolta al mondo nel suo discorso il 19 settembre: «Vorrei che tutti si unissero a noi nel trovare nuove strade, nuove risposte, più costruttive, più positive, più innovative e forse più audaci». La tragedia del Rakhine e il difficile equilibrio politico della Birmania, così intrecciati, sono sulle sue spalle. Mentre lei li sta affrontando entrambi e insieme, il mondo in queste settimane ha considerato solo uno dei problemi. Senza vedere che proprio nel Rakhine si costruiva la strategia dei militari, i padroni del campo, per indebolire la posizione della leader democratica. Una miopia imperdonabile per la comunità internazionale.
Aung San Suu Kyi sta percorrendo il sentiero stretto della storia, il solo che può consentire al suo Paese di costruire il futuro. Su questo sentiero sarebbe colpevole darle la spinta che la farebbe cadere. La Birmania che Aung San Suu Kyi ha avviato verso la democrazia, dopo decenni di chiusura, di dittatura, di sofferenze, è giovane e fragile, si confronta con molti problemi. Ancora sorvegliata dall’esercito, il Tatmadaw, che ha un grande potere. Il popolo è con lei, e tutto è in gioco. Il sogno può essere realizzato. Ora il Myanmar sta affrontando un problema per decenni dimenticato, una tragedia dell’umanità. Soltanto nel contesto della comunità internazionale può essere risolta la situazione della popolazione musulmana che si autodefinisce Rohingya, senza patria, né diritti, né cittadinanza, sul confine con il Bangladesh.
E dal Bangladesh all’India, dall’Asean all’Onu, dalla Cina all’Unione Europea, è il tempo di portare aiuti umanitari e di agire con la politica per dare pace e sicurezza alle popolazioni del Rakhine e stabilità all’intera regione. Sradicando sul nascere l’organizzazione terroristica Arsa che combatte facendosi anche scudo delle persone inermi. Su quel confine i mondi musulmano e buddista, le diverse culture e lo stesso Occidente sono chiamati a costruire il dialogo e la convivenza. Aung San Suu Kyi si muove in questa direzione. Il Piano di Sviluppo e di Pace proposto dalla Commissione presieduta da Kofi Annan, subito voluta da Aung San Suu Kyi, e che il suo governo sta attuando, può essere la base strategica per un intervento immediato e di lunga durata. Anche su questo il suo recente discorso all’Onu è stato chiaro e completo. Il ruolo dell’esercito, che la Costituzione voluta dai militari sottrae al controllo del governo, dovrebbe indurre la comunità internazionale a sostenere attivamente il governo di Aung San Suu Kyi con chiara visione e lungimiranza politica.
Vi è in atto in Birmania un confronto decisivo tra le forze della democrazia e l’esercito. Aung San Suu Kyi e il suo popolo, da soli, lo stanno sostenendo. La comunità internazionale sia al loro fianco, con grande consapevolezza dell’intera situazione e della complessità dei problemi, dei nodi che ancora bloccano l’esercizio di una piena democrazia, del cammino di riconciliazione e di pace promosso da Aung San Suu Kyi con la Conferenza di Panglong del XXI secolo. L’Italia c’è, con gli aiuti umanitari, con i progetti di cooperazione, con l’attività dell’Ambasciata impegnata a sostenere il cammino di pace, con l’azione del governo per sviluppare rapporti di collaborazione. Una missione governativa, oggi, per rilanciare la presenza dell’Italia nel Myanmar avrebbe un grande significato politico. Là, in Asia, dove il mondo cresce, anche sulla nuova Via della Seta.
Là, in Birmania, una porta aperta alla democrazia e alla pace. A fine novembre papa Francesco sarà in Myanmar e poi in Bangladesh. Terre dove la Chiesa Cattolica non rappresenta più dell’1,5 % della popolazione. Eppure il suo ruolo è molto importante nel dialogo interreligioso per la riconciliazione e la pace. Ne è anima e protagonista Charles Bo, primate in Birmania, uno dei cardinali scelti da Francesco dalla periferia del mondo, sulla frontiera della nuova umanità. Anche in Birmania, dove resiste Aung San Suu Kyi con la sua forza morale e spirituale, con la sua irriducibile responsabilità politica. La stoltezza con la quale gran parte dei media ha trattato la questione in queste settimane può essere spiegata solo con la paura di fronte alle sfide nuove, con la superficialità del nostro sguardo. Non possiamo dissipare le energie migliori che oggi sono presenti nel mondo.
*Già presidente dell’Associazione parlamentare Amici della Birmania