Lettere ad Avvenire. Commemorare il 25 aprile guardando a chi oggi sa vivere di ideali
Caro Avvenire, di nuovo il 25 aprile, qualcosa che ai giovani interessa poco, molto poco, anche laddove sappiano di che cosa si tratti. Io che faccio parte della generazione 'ora e sempre resistenza' qualche domanda me la faccio rispetto a che cosa significhi oggi celebrare il 25 aprile davanti a questi giovani. E la risposta vado a cercarla nei giovani che hanno vissuto quelle vicende da protagonisti e mi chiedo che cosa li ha spinti. Qui sta la questione: ritrovare uomini mossi da un ideale di cui oggi è bello raccontare la storia. Non discorsi su valori o spiegazioni più o meno complicate, ma persone che hanno messo a rischio la vita per un ideale buono per tutti: libertà e democrazia. Questo vale oggi: che un ideale ti muova; per questo è interessante celebrare il 25 aprile, per chiedersi se un ideale può oggi ancora muoverci, oppure se ciò per cui ci muoviamo sono solo i ristretti orizzonti degli egoismi particolari.
Gianni Mereghetti, insegnanteCaro professore, è vero, molti dei nostri ragazzi sanno a stento che cosa si commemori il 25 aprile; e anche a quelli che lo sanno, in genere poco importa di quella data ormai lontana. Solo se i nonni hanno raccontato il fascismo, la guerra, la Resistenza, il 25 aprile 1945 è ancora nella memoria per ciò che è: un crinale della storia, il giorno in cui l’Italia si liberò definitivamente dalla dittatura e dalla occupazione tedesca, grazie agli Alleati, ai partigiani e al ricostituito esercito italiano. Il giorno della definitiva scelta. E certo, occorre fare tutto ciò che si può per tramandare questi eventi nodali su cui è sorta la Repubblica, la tanto bistrattata, eppure democratica e preziosa Repubblica in cui viviamo. Ma il tempo corrode la memoria degli uomini. Col passare ulteriore dei decenni, forse anche il 25 aprile diventerà per i nostri nipoti un’astrazione, privato come sarà della memoria viva di chi c’era. Come per noi milanesi sono le Cinque Giornate di Milano: quando quasi solo il tricolore sui tram ricorda quei giorni fieri di liberazione. Il destino della storia, anche di quella per noi fondamentale come la data del 25 aprile, è di essere, nei secoli, appannato.
Ma, professore, come lei dice, ciò che conta è che rimanga la sostanza: che crescano ancora uomini mossi da un ideale. È questa, la drammatica necessità che oggi ci si pone. I nemici della libertà, della democrazia, della convivenza pacifica sanno anche morire per il loro feroce progetto. Noi, mi ritrovo a pensare a volte, per un ideale non sappiamo nemmeno vivere: ridotti come siamo nelle angustie del consumismo e dell’individualismo, col fiato corto davanti alle grandi sfide collettive. Il 25 aprile, magari, molti lo passeranno a fare shopping. I nostri ragazzi, o almeno tanti di loro, hanno imparato dagli adulti che si vive e si muore per sé soli.
Quanti vivono ancora per un ideale? Qualcuno, quelli appunto che hanno ricevuto la memoria della passione che animava l’anno 1945. La grande massa naviga fra desideri e ambizioni private; avvilita come è, fra l’altro, dalla mancanza di lavoro, che schiaccia i giovani, significando loro che sono, in sostanza, non utili. Terribile ingiustizia, che non li fa nemmeno crescere come uomini. A vivere per un ideale, prima e oltre la politica, sono rimasti i giovani cristiani, non solo loro certo, ma soprattutto loro. Lo fanno in associazioni e movimenti, negli oratori e nelle parrocchie, dentro la Chiesa. Minoranza certo, ma minoranza viva. Quelli che abbiamo visto l’estate scorsa col Papa in Polonia; quelli cui è stata data la memoria di ciò che è, del vivere, la più profonda ragione. Li guardavo come figli, nelle immagini da Cracovia, e mi chiedevo: quanto riusciranno a incidere, e quale prezzo dovranno pagare in questo Occidente incupito e sotto assedio? Ma noi adulti non dobbiamo seminare paura, o cinismo. Se siamo cristiani, poi, dobbiamo ricordarci che Dio conduce la storia, per trame che noi non vediamo, e non sappiamo immaginare.