Le parole di Mattarella. Il sacrificio nella quotidianità antidoto eroico al terrorismo
Riconoscimento e riconciliazione. Si intravedono due piste nel discorso tenuto ieri dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del “Giorno della memoria” dedicato alle vittime del terrorismo. Due percorsi inscindibili che possono portare alla costruzione di un ricordo condiviso. La prima pista è quella della chiarezza nella distribuzione di colpe e meriti. E qui il Presidente è stato molto chiaro.
A «fare la storia d’Italia» non è stato chi ha imbracciato le armi ma un «popolo che ha rifiutato con decisione l’uso della violenza co-me arma per la lotta politica. E che si è stretto attorno alle istituzioni quali presidio di libertà, di diritti e di democrazia. Lottando ovunque, nel posto di lavoro, all’interno della società. Scendendo persino in piazza per manifestarne la difesa».
Sono questi i veri eroi dell’Italia repubblicana, i vincitori di una guerra che, come ha sottolineato il Capo dello Stato, «è stata vinta combattendo sempre nel terreno della legalità costituzionale, senza mai cedere alle sirene di chi proponeva soluzioni autoritarie». Una vittoria del diritto e della giustizia. Con una precisazione, importante, del Presidente: la pur doverosa riflessione sui terroristi e sulle loro scelte ideologiche, sulla loro vita e sulle cause che hanno condotto alla lotta armata, non può sovrastare il racconto di chi, invece, è rimasto fedele e non si è piegato a logiche che non fossero quelle del servizio della Legge.
Gli approfondimenti anche delle deviazioni di alcuni apparati che hanno portato «a stragi, talvolta compiute con la complicità di uomini da cui lo Stato e i cittadini si attendevano difesa» non possono far passare in secondo piano l’esempio dei servitori della Repubblica che hanno combattuto l’eversione anche a rischio della vita. Di questi, del dolore delle famiglie che hanno perso un congiunto strappato da esaltati fanatici, di chi nelle fabbriche, nelle università e in tutti i luoghi di lavoro si è opposto all’eversione, si è parlato meno. A loro Mattarella, ha concesso il giusto tributo indicandoli come i veri artefici della storia d’Italia. Coloro che, nelle parole del Capo dello Stato sono stati capaci di «scriverne la parte decisiva e più salda. A esprimerne l’autentico animo della nostra società e non la sua patologia».
È partendo da queste persone, dal riconoscimento e dalla riconoscenza per la loro storia spesso tragica, che è possibile fare un percorso di riconciliazione. Il Capo dello Stato ha ricordato in primis Aldo Moro (nel 45° anniversario del suo assassinio da parte delle Brigate Rosse) e poi l’agente Antonio Marino ucciso a Milano da elementi di estrema destra. I fratelli Mattei, morti nell’incendio della loro abitazione appiccato da esponenti di Potere Operaio che volevano colpire il padre esponente del Msi. E poi ancora la strage davanti alla questura di Milano, la vigilatrice di Rebibbia assassinata dalle Br, le stragi di Firenze e Milano del 1993, fino all’omicidio del sovrintendente Gabriele Petri, ucciso esattamente 20 anni fa in uno degli ultimi rigurgiti brigatisti. Tra le vittime Paolo Di Nella, del Fronte della Gioventù, colpito alla testa da esponenti di Autonomia Operaia e che – in coma – fu visitato del Presidente partigiano Sandro Pertini come gesto di solidarietà e pacificazione.
Queste vittime e tutte le altre citate sono unite da un unico filo: l’essere state prese a bersaglio mentre compivano il loro dovere o attendevano a pacifici compiti della quotidianità. Vite nascoste che hanno dovuto subire violenza per avere l’attenzione dei mezzi di comunicazione. Attraverso la valorizzazione del loro sacrificio passa ogni percorso di riconciliazione, senza cadere nella retorica, ma pure nella consapevolezza che se l’odio e la violenza sono propri dei regimi autoritari, la strada della democrazia, benché a volte lunga e faticosa, è la sola che porta frutti. Come hanno testimoniato le esistenze di quanti hanno saputo contrastare il terrorismo facendo il proprio dovere fino in fondo.