Europa alla prova sul clima. Il ruolo guida Ue alla Cop28
La prima cosa da dire sulle conclusioni della Cop28 di Dubai, la conferenza internazionale sulla lotta al cambiamento climatico, è che il bicchiere non solo è mezzo pieno, ma anche che lo è di buon vino europeo. Infatti, è stata l’Unione europea nel 2019 ad assumere, con il Green Deal, l’impegno ad arrivare alla “neutralità carbonica” (cioè, emissioni nette di gas climalteranti nell’atmosfera pari a zero) entro il 2050, un impegno ora preso a Dubai da tutto il mondo. A definire, sempre nel 2019, un percorso per tagliare significativamente, entro il 2030, le emissioni, e ora anche il resto del mondo ha deciso di fare lo stesso. A puntare sull’efficienza energetica e sull’aumento delle energie rinnovabili e ora anche gli altri Paesi, compresi Cina e Stati Uniti, vogliono fare lo stesso. Insomma, la Cop28 sancisce il successo dell’Ue come avanguardia sui temi ambientali, dei diritti umani, della lotta alle disuguaglianze, qualcosa da ricordare in vista delle prossime elezioni europee.
La Cop28 dovrebbe anche rappresentare la pietra tombale del negazionismo climatico (visto che tutto il mondo ha riconosciuto la necessità dell’uscita dai combustibili fossili) e dello “scaricabarile” sui Paesi emergenti della responsabilità della crisi climatica. Infatti, con la creazione del Fondo Loss and damage, alimentato dai Paesi industrializzati e destinato a programmi di aiuto a quelli più poveri, maggiormente colpiti dalla crisi climatica, i primi (compresa l’Italia) hanno riconosciuto la loro responsabilità storica di tale fenomeno, al di là del fatto che oggi una quota significativa di emissioni sia dovuta ai Paesi emergenti come la Ci-na, l’India e il Brasile. Quindi, chi sostiene che i combustibili fossili non siano la causa del cambiamento climatico o che l’impegno a ridurre le emissioni in Europa vada condizionato ad analoghi impegni del resto del mondo ora dovrebbe inventarsi altri argomenti per opporsi alla transizione ecologica. Tutto bene, dunque? Purtroppo, no. La dichiarazione conclusiva di Cop28 lascia tanti margini d’incertezza sulle traiettorie dei grandi Paesi verso la decarbonizzazione. Inoltre, non si tratta di impegni vincolanti e su alcuni temi il testo è un esercizio di equilibrismo diplomatico. Quindi, molto lavoro resta da fare e prima si farà meglio sarà per tutti. E l’Italia cosa dovrebbe fare? Molto, e anche velocemente, visti i ritardi accumulati sulla transizione ecologica.
I recenti Rapporti dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (disponibili sul sito www.asvis.it) illustrano tali ritardi e le proposte per colmarli nell’ottica complessiva dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, ma ci sono tre punti sui quali il Governo e il Parlamento dovrebbero rapidamente “mettere la testa”. Approvare una legge per il clima, come fatto dagli altri grandi Paesi europei, che, tra l’altro, sancisca l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050, fissi obiettivi intermedi per i diversi comparti economici e istituisca un Consiglio scientifico che assista la politica nella predisposizione degli interventi e monitori i risultati ottenuti. Rendere più ambizioso il Piano Nazionale Integrato Energia- Clima predisposto dal Governo a giugno, un testo debole e incapace di consentire all’Italia di centrare gli obiettivi energetici e climatici ad essa affidata dalla legislazione europea. Predisporre entro marzo 2024 il Piano di accelerazione per il conseguimento dell’Agenda 2030 che il Governo, a metà settembre, si è impegnato a definire in sede Onu. Il Piano deve affrontare con chiarezza il tema della transizione ecologica “giusta”, così da consentire al nostro Paese di sfruttare tale processo per aumentare l’occupazione, ridurre la povertà energetica e le disuguaglianze. L’esortazione apostolica Laudate Deum di papa Francesco chiede a tutti di moltiplicare gli sforzi per trasformare il nostro mondo nel senso dell’ecologia integrale. Invece che parlare di presunte contrapposizioni tra “approccio ideologico” e “pragmatismo”, la politica e la società italiana dovrebbero ascoltare il Papa e accelerare al massimo l’impegno per la transizione ecologica, anche per evitare quelle 52.000 morti premature che annualmente l’Italia registra a causa di malattie legate all’inquinamento, un’ingiustizia inaccettabile di cui nessuno apparentemente si assume la responsabilità.