Opinioni

La corsa al riarmo. Tornano i sommergibili: nuova guerra in mare

Francesco Palmas sabato 23 gennaio 2016
C’è una guerra silenziosa, sfuggente. Si combatte sotto i mari. Smentisce previsioni azzardate e ridisegna scenari. Pochi anni addietro, si profetizzava la fine dei sottomarini, vessillo della guerra fredda.  Invece la gara sta ricominciando, inattesa e onnipresente. I 'vascelli neri' solleticano le brame di potenza. Non sono più lo strumento tipico del periodo bipolare. All’epoca i sovietici avevano il triplo dei sommergibili statunitensi. Sfornavano fino a 20 unità nucleari l’anno. Sotto i mari, incrociavano più di 900 battelli. Ma erano in mano a un pugno di paesi. Dieci in tutto. Oggi l’aria è cambiata. A inizio 2016 si 'fronteggiano' 500 sommergibili militari, anche se a contendersi gli spazi subacquei sono 43 Paesi. Stati Uniti, Giappone, Francia, Gran Bretagna e Corea del Sud hanno perfino comandi specializzati. La Russia no. Ma sta risorgendo: ha creato a Sevmash il mega-polo nazionale per la costruzione dei battelli a propulsione nucleare. Puntella le flotte del Nord e del Pacifico. Ha appena ultimato una 'crociera' di 60 giorni nei fondali artici. Qui c’è il paradiso russo dei missili balistici lanciabili dai sommergibili. nche il Baltico pullula di forze russe, al punto che i polacchi corrono da tempo ai ripari. Acquisteranno tre sottomarini, armandoli di cruise stnche il Baltico pullula di forze russe, al punto che i polacchi corrono da tempo ai ripari. Acquisteranno tre sottomarini, armandoli di cruise statunitensi. La Svezia non è da meno. Riesuma un programma per lei strategico. A26 è il nome, varato nel 2010 dopo l’ennesima incursione russa nelle acque dell’arcipelago svedese. Sul piatto ci sono nuovi sommergibili ultrasofisticati, pronti a partire dal 2020. Con tanto di siluri e sensori spia. Dietro hanno spazio per un mini-sommergibile. Davanti, un mega-tubo permette di rilasciare droni subacquei o di proiettare in acqua otto sommozzatori per volta: i famigerati commando della Marina, non molto dissimili dai Marinejegerkommandoen norvegesi. Li abbiamo visti in azione in Afghanistan, nella task force K-Bar di Enduring Freedom. La Norvegia potrebbe acquistare parte degli A-26, mandando in pensione i vecchi sommergibili costieri. Formerà un asse con Polonia e Olanda, almeno nell’acquisto. Un salto di qualità, motivato dal neo-attivismo russo. Mosca sta rialzando la testa in tutti gli scacchieri prossimi all’oceano mondiale. Inietta forze fresche nel mar Nero. E sta incrociando al largo della Siria con un sottomarino.Il Mediterraneo è un pullulare di nuove potenze marittime: Algeria, Egitto e Marocco saranno della partita. Il mare nostrum si sta facendo sempre più stretto. Non è più il bacino incontrastato dei vascelli italiani, francesi e spagnoli. Roma sa il fatto suo. La Legge navale lo dimostra. I sottomarini saranno un perno della nostra proiezione oltremare. Uno è sicuramente impegnato nell’operazione Sofia, nel Mediterraneo. Ma è verosimile che francesi, britannici e tedeschi stiano facendo altrettanto. Parigi non è nuova a crociere mediterranee La sciagurata guerra contro Gheddafi ha un aspetto forse inedito. Nel febbraio 2011 la Royale inviò al largo della Libia uno dei suoi gioielli subacquei. Che faceva quel mezzo visto che il primo attacco aereo sarebbe scattato il 19 marzo? La verità è che i sommergibili sono praticamente invisibili. Possono fare un sacco di cose. In primis intelligence, sorveglianza e ricognizione. Hanno accesso a informazioni diversamente non osservabili. Monitorano l’area di interesse 24 ore su 24, sette giorni su sette, in qualsiasi condizione atmosferica. Via satellite, usano canali ultrasicuri, trasmettendo alle altre unità e ai comandi decisionali informazioni rapide e preziose sulla disposizione delle forze nemiche, ben prima delle ostilità. Hanno un ulteriore atout: quando rilasciano veicoli non pilotati (Uuv) si insinuano di soppiatto in aree fino a ieri inimmaginabili, come l’interno di un porto nemico. Possono perfino bombardare, come avvenuto in tutte le operazioni militari (spesso deleterie) da Desert Storm in poi. Ecco perché fanno gola a molti. Domani la Turchia islamista sarà una media potenza, anche sopra e sotto la superficie del mare. Israele lo è già. Affina le sue armi. A breve avrà nel mare arabico un sommergibile in missione permanente. Guarderà a vista l’Iran, suo nemico giurato. In caso di escalation, spedirà via Suez un altro sottomarino.  Anche gli iraniani stanno investendo fior di quattrini nello sviluppo di una flotta sommergibile copiosa e temibile. Per ragioni operative hanno optato sui midget: mini-vascelli poliedrici nell’uso, che sgusciano come anguille nei fondali bassi del golfo persico. Bloccherebbero senz’altro Hormuz, in caso di attacco, manovrando in sinergia con la miriade di imbarcazioni leggere dei pasdaran. Ma la vera partita dei mari si giocherà in Asia, fra l’Oceano indiano e il Pacifico: da qui al 2025 le flotte sottomarine triplicheranno. E vi saranno non meno di 170 unità operative. Il Sud-Est asiatico è una polveriera, teatro di un risiko pericoloso fra Cina e Stati Uniti. Nelle retrovie, emergono potenze regionali come Singapore, la Malesia, la Tailandia, l’Indonesia, il Vietnam e le Filippine. Le spese militari stanno esplodendo: dal 2000 l’import di armi è aumentato dell’84% in Indonesia, del 146% a Singapore e del 722% in Malesia, che ha appena inaugurato una base di sottomarini nel Borneo, paventando l’espansionismo di Pechino nei mari di casa. Perfino il Vietnam, povero finanziariamente, ha dovuto fare i conti con una realtà in deterioramento. Sta mostrando i pochi denti che ha, acquistando dalla Russia una cinquantina di missili da crociera Klub. La Cina protesta. I russi si sono sempre rifiutati di venderle quei cruise, troppo evoluti e copiabili. Pechino sa già che i vietnamiti hanno nel mirino la base di Sanya, sull’isola di Hainan, roccaforte dei sommergibili strategici cinesi. Dal mar cinese meridionale, i militari di Pechino possono colpire l’Alaska e parte dell’ovest americano, nell’assurdo poker della deterrenza atomica. Ecco perché gli strateghi, a Washington, ripassano le teorie navaliste di Alfred T. Mahan e puntellano il Pacifico con basi e punti d’appoggio. La base di Guam ospita in media cinque sottomarini nucleari d’attacco, destinati a spingersi fino al mar cinese meridionale. Diego Garcia è un altro avamposto a stelle e strisce nell’oceano indiano. Vi incrocia l’USNS Emory S. Land, nave sommergibilistica, per appoggiare da Sud le proiezioni in Asia sudorientale. La rete di sorveglianza acustica messa in piedi da Washington con il programma TAgos non ha rivali. Dagli anni 80, l’Office of naval intelligence vi ricava una mole di dati incontrovertibili sugli spostamenti e i progressi delle flotte altrui (leggi cinesi). Ha costruito un database unico al mondo, cui si sommano le alleanze con potenze sottomarine di primo rango come Giappone, Taiwan, Corea del Sud e Singapore, senza dimenticare l’Australia. Qui si sta giocando una vera e propria partita a scacchi. In ballo c’è il contratto del secolo: 20 miliardi di dollari per 12 sottomarini oceanici. Due le aziende che se lo disputano, francesi e giapponesi. I tedeschi sono usciti di scena ieri, esclusi da una competizione in dirittura d’arrivo. Canberra studierà solo le proposte di DCNS e del consorzio giapponese Mitsubishi-Kawasaki. Entrambe maneggiano un dossier altamente sensibile, perché la Royal Australian Navy ha affidato loro un 'forziere' che cela i segreti dei futuri sottomarini. Qualcosa che fa terribilmente gola ai pirati informatici.  Negli ultimi mesi Pechino e Mosca avrebbero lanciato attacchi cibernetici plurimi contro il trio di aziende, costrette a ripiegare sulla vecchia carta per trasmettere le informazioni più delicate. Gli Stati Uniti hanno preso sul serio la faccenda. Infastiditi dalle recenti manovre navali sino-australiane, hanno richiamato all’ordine il premier Malcolm Turnbull, commissariando de facto il programma sottomarino. Il contrammiraglio Gregory John Sammut è stato silurato a metà ottobre. Al suo posto, come 'general manager' del progetto Sea 1000, gli americani hanno voluto Stephen Johnson, ufficiale a stelle strisce, grande esperto di guerra sottomarina e direttore dei programmi strategici dell’US Navy. Un altro graduato statunitense, Donald C.Winter, è atterrato in Australia a fine ottobre. Lo ricorderete come ex segretario della Marina americana. Oggi presiede un comitato di esperti molto speciale. Le proposte tecniche delle aziende in gara per i sommergibili passeranno tutte da lì. L’asse navale Stati-Uniti-Giappone-Australia non ammette tentennamenti. Il contenimento della Cina è già cominciato.