Opinioni

L'intervento. Con le nostre "madri costituenti" per vincere la denatalità

Maria Pia Garavaglia sabato 1 giugno 2024

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«Io sono mia!». Era un grido di battaglia femminista degli anni turbolenti , durante l’acceso dibattito sull’aborto: “io sono mia!”. È vero? Sì, e anche no.

Ciascuno di noi è padrone di sé stesso, per fisionomia somatica , formazione, responsabilità, personalità: donne e uomini; anche no, perché siamo titolari di diritti da esercitare, ma anche di doveri inderogabili da onorare. Tuttavia, nella comunità ruolo e status delle donne rivestono un profilo peculiare. Alla donna è affidata dalla biologia la speciale condizione di diventare madre.

Attorno a questo dato di fatto, in ogni tempo, si è sviluppata e diffusa una narrazione frutto di condizioni culturali, ambientali e sociali (comprese visioni antropologiche e religiose). Sull’aborto si continua a ragionare con un certo strabismo: diritto della donna? Perché? Perché risolve molti problemi degli uomini. Una scelta solitaria per i motivi più diversi, sempre difficili da spiegare, e dolorosi; oppure una imposizione da parte di un partner, o di familiari... Il fatto è che riguarda la donna, il suo corpo e la sua salute. Difficile che sia un gioia; tutte le esperienze parlano di dramma. Se si osservano le condizioni che rendono necessaria l’interruzione della gravidanza sarebbe ipocrita non riconoscere che molte cause sarebbero sanate se ci fosse un intervento delle istituzioni serio, sistematico, disponibile. Servirebbe – davvero – mettere in campo una rigorosa attuazione della legge 194, “Norme per la tutela sociale della maternità...”.

Viviamo il tempo che ci è dato e ragioniamo sugli orientamenti attuali, con particolare attenzione alla condizione attuale della donna rispetto alla maternità e alla natalità. È in atto un preoccupato – finalmente – dibattito su una denatalità che ha raggiunto livelli inaspettati, frutto solamente della disattenzione prolungata ai dati statistici, demografici ed epidemiologici. Non si governa il Paese né i sistemi sociali complessi senza tenere conto dei dati, a meno che l’interesse prevalente siano i ritorni immediati elettorali, mai scelte strategiche.

Come riempire le culle? La nostra Costituzione ha previsto una organizzazione sociale fondata sulla parità fra i sessi e sulla condizione della donna in famiglia e nel lavoro : «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione» (Costituzione, art. 37).

Anche le coppie che desiderano figli devono fare i conti con le difficoltà organizzative che impone la cura dei minori. Sembra una beffa la norma che detrae i costi del nido dal secondo figlio, visto che le prime spese straordinarie si affacciano con la nascita del primo. E le questioni legate al lavoro della mamma, purtroppo, possono procrastinare la prima gravidanza. Con riduzione dello stipendio (quindi a suo tempo anche della pensione) e rischio di demansionamento quando si torna al lavoro.

Nei giorni scorsi Avvenire ha dato ampio spazio ai sondaggi che segnalano un desiderio di famiglia e di figli da parte dei giovani. Sarebbe utile incoraggiarli, diffondendo un clima di serenità sociale che, invece, fatica a imporsi a causa del cattivo esempio di chi, nel confronto politico, usa lo scontro, un linguaggio inquietante e un sentimento di egoismo, paure indotte per interesse politico invece che solidarietà e condivisione. Un fenomeno da discutere come il congelamento degli ovociti indica tuttavia un desiderio dilatato nel tempo ma significativo quanto al bisogno di maternità (salvo che essere madri attempate sarà più faticoso). Una ulteriore pratica che segnala la volontà della coppia di avere figli è la cosiddetta fecondazione artificiale, normata con la legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita. Anche in questo caso è il corpo della donna, e la sua salute, a essere sottoposto a diversi interventi medici.

Infine per avere figli una modalità inaccettabile, e da scoraggiare fino a che non sarà universalmente vietata, è la maternità “surrogata” (un figlio a tutti i costi – pagato davvero – come fosse un oggetto del desiderio invece che un progetto di custodia, formazione, affetti, con tutte le pieghe della vita). Ci sarebbe anche l’adozione ma non è una scelta per tutte le famiglie: serve un certo grado aggiuntivo di generosità.

Sempre il corpo della donna porta il peso dell’offrire generatività alla società. «Io sono mia», pure nel quadro di voler esercitare scelte autonome, coinvolge l’organizzazione sociale. La comunità si arricchisce di cittadini sulle spalle – non metaforicamente – delle donne. Se non ci sono asili nido gratuiti (o non costosi), scuole a tempo pieno, orari di lavoro che si conciliano secondo il dettato costituzione di «assicurare alla madre e al bambino una speciale protezione», se stipendi e successive pensioni impoveriscono la vita matura delle donne (cui è stata aumentata l’Iva su assorbenti, pannolini, latte in polvere...), lo Stato dismette i suoi compiti mentre pretende che la natalità sia incrementata: e come?

Riempire le culle è la priorità delle priorità per una politica lungimirante: più laureati, più sviluppo, più produttività, pensioni sicure. Alla fine anche la musa delle femministe, Betty Friedan, riconobbe che la principale “specialità” delle donne è la maternità: “io sono mia” questa volta dice di una responsabilità, che però è strettamente legata a quanto la donna sarà aiutata.

Festeggiando la Repubblica e la sua Costituzione sarebbe bene mettere al centro dell’attenzione i diritti delle donne che, rappresentando la maggioranza del corpo elettorale, hanno avuto anche il merito il 2 giugno 1946 di scegliere la Repubblica, votando all’Assemblea costituente ben 21 “madri costituenti”, risultate state determinanti nello scrivere gli articoli sulla pari dignità delle donne.