L'astensione risposta alla verticalizzazione del potere. Il rimedio è sempre la partecipazione
L’astensione risposta alla verticalizzazione del potere Caro direttore, al di là dell’esito dei ballottaggi, tutta la classe politica farebbe bene a interrogarsi sull’aumento della quota di astensionismo in queste elezioni amministrative, a conferma che nessuna forza è capace oggi di riassorbire il distacco crescente dalle urne. In molti casi ha votato meno del 50% dei cittadini, quasi il 10% meno che al primo turno, segno di un disagio sociale diffuso ma anche di una preoccupante disaffezione nei confronti delle politica e delle sue espressioni democratiche. È evidente che c’è una parte consistente del Paese sfiduciata, giustamente indignata per i continui scandali, che non vuole assumersi la propria parte di responsabilità nella convinzione (sbagliata) che il proprio voto non serve a costruire un futuro migliore per tutti. Se c’è una cosa che mette a rischio la «democrazia sostanziale», come la definiva Giulio Pastore, è quando le persone non si sentono determinanti e protagoniste. È uno smarrimento giustificato dall’Europa del rigore economico, da una crescita economica del nostro Paese ancora debole, dai livelli elevati della disoccupazione, con l’aumento della povertà, le periferie abbandonate e in generale, da una insufficiente propensione delle istituzioni a occuparsi dei problemi concreti della gente. Giovani e anziani sono oggi accomunati dalla mancanza di una prospettiva di inclusione sociale. Vivono, di fatto, lo stesso sentimento di frustrazione e solitudine. Questa evidente crisi della partecipazione ha prodotto anche un impoverimento del territorio e una delegittimazione della classe dirigente, persino di quei pochi amministratori locali che avevano governato bene in questi anni di grave crisi economica. Per questo condivido molto l’analisi che lei, direttore, ha sviluppato ieri su Avvenire: in quest’Italia in cui «troppi si consegnano – anche con serie motivazioni e per delusioni forti – al non-voto, ha vinto chi ha saputo interpretare una basilare volontà 'di cambiamento' degli elettori». E oggi sono soprattutto i giovani a chiedere di poter essere parte attiva di un cambiamento. A loro bisognerà dare risposte concrete, affrontando con la giusta coerenza e determinazione il tema della precarietà e delle nuove opportunità di lavoro. Non possiamo fallire su questo compito. Oggi il tema è come far uscire il Paese dalla crisi con la massima condivisione e coesione sociale, in modo da ridare una prospettiva di fiducia agli italiani. Senza un alleanza sociale forte qualsiasi governo nazionale e locale non riuscirà a intercettare i reali bisogni dei cittadini. Vale anche per i neo sindaci usciti da questa kermesse elettorale: ci auguriamo che coinvolgano nelle loro decisioni tutte le espressioni organizzate della società civile. Bisogna ripartire dal territorio, dai problemi dei servizi sociali, dalla sanità, dai trasporti, dalla pulizia delle città, dalle esigenze delle persone. Come hanno riconosciuto autorevoli commentatori, c’è stata negli ultimi anni una riduzione crescente degli spazi di partecipazione, con il tentativo di delegittimare anche il ruolo di rappresentanza dei corpi intermedi che hanno sempre costituito un elemento di stabilità e uno straordinario veicolo di coesione e di risoluzione dei conflitti sociali. Questo è stato l’errore storico della politica. La società italiana ha viaggiato verso una 'verticalizzazione' del potere, in una continua ricerca di leadership forti, ma non sempre con una chiara legittimazione sociale. L’anti-politica si è nutrita anche della scarsa mediazione sociale sulle grandi scelte di politica economica. Ma questo è il vero antidoto ai populismi, e al prevalere degli interessi ed egoismi dei più forti. Ecco perché solo un grande 'patto sociale' può oggi farci recuperare il rapporto con la gente, richiamando tutti i soggetti a una assunzione di responsabilità di fronte ad obiettivi selezionati e condivisi. A cominciare dai temi delle pensioni, del lavoro delle donne e dei giovani, delle nuove relazioni industriali, su cui il Governo e le parti sociali sono chiamate nelle prossime settimane a scelte condivise. Occorre ricominciare a discutere e a produrre la sintesi tra i diversi interessi in campo. Abbiamo bisogno di quel modello complessivo di sviluppo che è mancato nell’azione dei Governi degli ultimi anni. Allargare la partecipazione ai corpi sociali, condividere gli obiettivi, è la strada per recuperare la fiducia dei giovani, nelle istituzioni ed anche nella politica, come ci ha ricordato più volte il presidente della Repubblica Mattarella. Un Paese complesso come l’Italia non si governa con la disintermediazione o con una politica degli annunci. Bisogna favorire gli accordi con tutti i soggetti responsabili, in modo che ciascuno faccia la propria parte nell’interesse esclusivo del Paese. Questo è l’obiettivo della Cisl sul quale andremo avanti, in questa stagione di rinnovamento e di necessarie riforme sociali ed economiche.
*Segretaria generale della Cisl