Il rifiuto del limite. Dat, liberismo etico, Partito della nazione
L’approvazione definitiva in Parlamento della legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento consente di ragionare sulle trasformazioni che la cultura politica italiana ha subito nella XVII legislatura repubblicana, ormai prossima alla conclusione. Una legislatura che resterà probabilmente nella storia per la varietà e la novità delle misure legislative che hanno inciso sui diritti fondamentali per quanto riguarda sia la sfera dei diritti civili sia quella dei diritti sociali. È proprio il caso di dire che un’ondata di novità, comparabile solo a quella degli anni Settanta, ha investito la legislazione italiana tanto per la prima (divorzio breve, unioni civili, sovraffollamento carcerario, ora il fine vita, ma si dovrebbe forse ricordare l’apertura alla fecondazione eterologa – voluta dalla Corte costituzionale anziché dal Parlamento – e la picconata all’obiezione di coscienza all’aborto, che si deve alla Regione Lazio) quanto per la seconda (si pensi – fra molte misure – alla rilettura per via di prassi del diritto di asilo o alla legge sul reddito di inclusione, nonché alla riforma della legislazione lavoristica operata con il Jobs Act), per non parlare dei diritti politici (si pensi agli effetti del diritto di voto sulla legislazione elettorale).
Mentre nella sfera dei diritti sociali si può registrare una ripresa di vigore di questi ultimi, in chiave solidaristica (pur con il dato, per diversi aspetti problematico, del Jobs Act), in quella dei cosiddetti diritti civili è evidente l’accettazione in forma quasi piena delle istanze che una certa cultura laico-massonica ha in più modi e tempi proposto al Paese negli scorsi decenni. Ed è difficile trovare un’icona che sottolinei l’ingresso dirompente nel nostro tessuto legislativo dei princìpi fondamentali del liberismo etico in maniera più chiara delle lacrime di gioia di Emma Bonino all’indomani del voto del Senato sulle Dat.
Non si vuole con ciò privare di qualsiasi valore le istanze che hanno trovato accoglienza nella legislazione, per lo più dopo battaglie decennali, talora con tratti drammatici, almeno dal punto di vista mediatico. Dopotutto il liberismo etico parte da princìpi quasi universalmente condivisi – anzitutto il principio di autodeterminazione – che caratterizzano ormai sia l’universo morale, sia la nostra legislazione. Essi trasportano nelle sfere della libertà sessuale, delle scelte riproduttive e della conclusione della vita umana (compresa l’istanza di programmare quest’ultima in anticipo) quelle stesse aspirazioni che alla fine del Settecento avevano trovato sbocco nel primo costituzionalismo per regolare il rapporto fra cittadino e Stato in quelle che poi sono divenute le "libertà classiche" (libertà dagli arresti, del domicilio, della corrispondenza, di circolazione, di pensiero, di religione, oltre al diritto di proprietà), consolidandosi come uno dei pilastri dello Stato costituzionale.
Le Costituzioni, tuttavia, intervennero solo occasionalmente a trasfondere quei princìpi di libertà nella sfera privata, alla quale si trovano riferimenti solo nelle Carte costituzionali e nei documenti internazionali dal secondo dopoguerra novecentesco in poi: sicché le domande di nuovi diritti hanno dovuto farsi faticosamente strada nelle pieghe degli ordinamenti, anzitutto grazie alla giurisprudenza (ordinaria e costituzionale), talora in modi che da un punto di vista giuridico non possono non essere percepiti come arbitrari.
Ma, soprattutto, mentre le libertà classiche hanno progressivamente trovato un equilibrio - regolato dal principio di proporzionalità e, ovviamente, sempre soggetto a ridefinizione - con gli interessi a esse contrapposti (i diritti degli altri, l’ordine costituzionale e la legge morale, per dirla con l’art. 2 della Legge fondamentale di Bonn), ciò non è avvenuto per quanto riguarda i "nuovi diritti" cosiddetti civili. Questi si affermano con prepotenza. Mentre oggi è dato per acquisito che nessun diritto sia assoluto, cioè privo di limiti, l’autodeterminazione nella sfera sessuale e all’inizio e alla fine della vita non "vede" limiti e rivendica assolutezza. Le morali di radice religiosa si sono battute in questi decenni - e la vicenda delle Dat non ha fatto eccezione - per tentare di "dire" le ragioni dei limiti, ma la battaglia appare perduta in partenza.
È come se si parlasse una lingua che risulta incomprensibile a gran parte dell’opinione pubblica dominata, grazie anche alla quasi totalità della opinionistica massmediatica, da una sorta di pensiero unico d’impronta liberal-radicale. Comunicare oggi l’unicità del matrimonio, la distinzione originaria uomo-donna, la sacralità della vita umana e la sua dignità in ogni fase e condizione dal concepimento alla morte naturale è davvero arduo, in quanto quelle parole arrivano nell’orecchio dei destinatari con un altro significato. Come spiegare altrimenti che un ex premier come Matteo Renzi, non certo privo di formazione cristiana ed ecclesiale, celebri l’approvazione di questa legge sulle Dat come una migliore tutela della dignità della persona se non con il fatto che per la concezione dominante la dignità coincide ormai con l’autodeterminazione?
Nel complesso, dunque, si può constatare che il Partito della Nazione, uno dei grandi spettri della XVII legislatura, ha infine visto la luce dove meno lo si poteva attendere: sulla legge in materia di Dat, che ha avuto via libera al Senato grazie a una inedita coalizione fra Pd, nuova "cosa rossa" e 5 stelle, con l’appoggio esterno della "libertà di coscienza" di Forza Italia e il supporto delle truppe parlamentari di Denis Verdini. In piena armonia con le istanze di una lobby liberal-liberista-libertaria che, ovviamente, si incaricherà di guidare la delicatissima attuazione della legge, per far sì che i residui di ambiguità in essa presenti siano sciolti in favore della radicalizzazione del principio di autodeterminazione, come del resto è accaduto in questi lunghi anni con la legge sull’aborto, la quale proclama nel suo primo articolo che "la Repubblica tutela la vita umana fin dall’inizio", ma costruisce procedure che, nel diritto vivente, consentono di fatto l’aborto on demand. Per un vero e altrettanto trasversale ragionamento sui limiti ai nuovi diritti, occorrerà forse attendere la prossima generazione? Speriamo di no.