Dibattiti. Il resistibile e triste trionfo dell'intellettuale apparente
Appaio dunque penso. Ma attenzione, l’incipit non induca a pensare che questo scritto abbia l’ambizione di trattare o di riferirsi a una nuova corrente filosofica, basata sui nuovi concetti di biologia molecolare o sui dati forniti dalla risonanza magnetica funzionale o addirittura sulla rivoluzione digitale, anche se con quest’ultima qualche correlazione indiretta potrebbe esserci. Qui ci si vuole semplicemente riferire al comportamento di molti “intellettuali”, quelli che sembrano più attivi ai giorni nostri e ai quali mi riferirò in seguito come agli intellettuali praticanti o intellettuali apparenti, cioè che appaiono in tv, sui social e in misura minore sulla carta stampata dove apparire è più complicato.
Ma chi sono oggi gli intellettuali? Le memorie scolastiche rimandano al nobile compito cui sono chiamati i filosofi nella Repubblica di Platone, il quale precisa che governare significa comprendere il bene collettivo e tradurlo in leggi e atti politici opportuni . L’osservazione suggerisce che questa classe di intellettuali oggi non è particolarmente numerosa o che quelli che vi appartengono sono assai isolati e silenziosi o incapaci di apparire che significa accedere ai mezzi di comunicazione; per loro si potrebbe parafrasare l’incipit e dire: penso e quindi non appaio.
La voce dei pensatori che non appaiono è assente nell’agorà, in cui risuona invece incessantemente quella dei nuovi intellettuali, le cui opinioni su ciò che è buono e ciò che è cattivo alimentano un dibattito reiterativo che non può, o forse non vuole, incidere sulla realtà. Si tratta di opinioni per lo più prevedibili, “di destra” o “di sinistra” per semplificare, di volta in volta destinate a essere condivise da ben individuate parti della società, che in quelle volentieri si riconoscono e si rinforzano. Quella che manca è l’elaborazione di un progetto politico a tutto tondo, magari anche impopolare, rivolto in prima istanza ai governanti e di cui gli intellettuali dovrebbero farsi mediatori con i cittadini in un lavoro che non esiterei a definire educativo.
L'avvento di quelli che potremmo anche chiamare “opinionisti” è stato indotto principalmente dallo sviluppo della tecnologia, con la facilitazione delle comunicazioni, e dalla condizione di connessione economica e politica tra gli Stati, che ha bisogno di un continuo aggiornamento per i cittadini. Gli opinionisti hanno necessità di essere sempre presenti e quindi, per loro, apparire, diventa importante. Apparire, farsi vedere è estremamente importante, infatti il senso della vista è predominante nell’uomo ed è noto che il 50% dei neuroni del cervello umano risponde direttamente o indirettamente allo stimolo visivo.
La visione, nella storia dell’uomo si è sviluppata assai prima del linguaggio; l’uomo primitivo era un animale principalmente visivo, più istintivo, rapido nelle sue decisioni per necessità di sopravvivenza, quindi non è del tutto sorprendente che apparire sia così importante; significa accedere, e accedere efficacemente a una parte significativa del cervello individuale e collettivo. Gli intellettuali, quelli che ho di sopra chiamato, gli apparenti, hanno riscoperto o forse intuito queste proprietà cerebrali visive e le usano, non come gli antenati per la sopravvivenza, ma come strategia di successo per il loro lavoro, avvalendosi della tecnologia moderna che offre loro la possibilità di apparire anche a milioni di persone simultaneamente, attraverso i mezzi di comunicazione visiva e in particolare la televisione.
Appaiono così frequentemente sullo schermo, nei talk show televisivi, sui social, spesso nello stesso giorno a ore diverse, ripetendo le stesse parole e suoni e gesti; la ripetizione quasi ossessiva dello stesso spettacolo è un altro mezzo neurologicamente potente per imprimere il messaggio nella memoria degli spettatori. La ripetizione ossessiva è la strategia della propaganda di qualsiasi prodotto, anche in politica. Gli intellettuali apparenti cercano con la stessa strategia di comunicare il loro pensiero apparente e bisogna ammettere che lo fanno, con successo.
È improbabile tuttavia, che un intellettuale apparente parli della vergognosa iniquità delle disuguaglianze, la cui terapia può solo consistere in una ridistribuzione delle risorse economiche prendendo dalle tasche di chi ha accumulato grandi o immense ricchezze. Già molto tempo fa scriveva Montaigne (1533-92) «Il profitto dell’uno è il danno dell’altro» (XXII, I). Ed è pure improbabile che un intellettuale apparente tratti a fondo della corruzione, un virus contagioso che ha generato la pandemia della corruzione, per la quale non si è trovato ancora alcun vaccino. O che si concentri sulla pandemia dell’immoralità, per cui il Mediterraneo è divenuto un cimitero, i migranti invasori e i figli degli immigrati, possibili futuri delinquenti, sono tenuti in quarantena di purificazione per decine di anni prima di essere degni della cittadinanza italiana.
Forse dobbiamo convincerci che siamo nel mondo di una nuova tecnologia, nell’era della rivoluzione digitale, dove riflettere e ascoltare significano arretratezza, sottosviluppo intellettuale, ignoranza, perché va di moda il texting sul telefonino o similia. E che dobbiamo aggiornarci e usare i potenti mezzi di comunicazione a disposizione, che nella visione del conservatore un po’ sottosviluppato rischiano però di imporre il pensiero dei più forti, dei padroni della rivoluzione digitale. È evidente, anche se può non essere confortante, che l’intellettuale nel senso della Repubblica di Platone non esiste più, se mai è esistito, e d’altronde è chiaro che nell’era della rivoluzione digitale si vive, per dirla con Pasolini, in un tempo di sviluppo e non di progresso.
Pur nell’ammirazione e desiderio di conoscenza delle nuove scoperte scientifiche, io guardo con timorosa precauzione al fenomeno della pandemia tecnologica e ho una biologica naturale paura di trovarmi a vivere in una società di tecnici auto-robotizzati che hanno trovato l’algoritmo del nuovo bene collettivo basato su un’analisi accurata dei big data. Se il pensiero, il senso morale e per dir così l’anima, fossero rimpiazzati da meravigliosi, efficienti algoritmi capaci di migliorare il benessere dei cittadini, l’aggettivo umano potrebbe essere cancellato dal vocabolario e la biologia dovrebbe constatare una diminuzione di biodiversità.
Neurobiologo, presidente emerito dell’Accademia dei Lincei