A Mosul, un anno dopo l’arrivo dell’Is. La Bbc ha mandato in onda dei video registrati clandestinamente nella città. Frammenti di vita quotidiana in inquadrature irregolari, che s’interrompono d’improvviso, o di colpo si capovolgono, come se il cellulare che riprende venisse rapidamente nascosto in una tasca. La vita di tutti i giorni, nella capitale del Califfato. Le immagini rubate restituiscono una città come infartuata, con larghe aree abbandonate e mute. I cantieri dei palazzi in costruzione in periferia, deserti, le gru ferme, nessuno al lavoro. Le scuole: le aule vuote, i banchi di legno in attesa di bambini che non vengono più. I quartieri cristiani, dove vivevano 60 mila persone, sono un susseguirsi di vie morte: nemmeno un cane randagio, è rimasto sui marciapiedi. Sui portoni, in caratteri arabi, la "N" di "nasara", nazareni, cristiani, come un marchio di vergogna. Dai cancelli sporgono i rami delle piante inselvatichite. Sono fuggiti tutti. Pare di toccare con mano il silenzio, il tombale silenzio di una città che non c’è più. Ma a Mosul, chi è rimasto cerca di vivere ancora. Il traffico cittadino viene spesso interrotto dal passaggio di grossi mezzi militari, carri, missili sottratti all’esercito regolare iracheno. Sfilano ostentatamente con le loro sagome minacciose tra la gente - come un avvertimento torvo. Vengono lasciati nei quartieri più popolosi: la popolazione farà da scudo umano, nel caso di bombardamenti. Non sono bombardamenti, ma esplosioni invece i boati che hanno percorso in questi mesi Mosul: l’Is ha fatto saltare in aria le moschee non sufficientemente vicine all’islam del Califfato. Se ne vedono le macerie e i bambini che ci si arrampicano sopra, sotto ai resti in bilico, pericolanti. Ma tutta la città è stata minata nei cunicoli sotterranei, ed è piena di cecchini. Scorrerà molto sangue, il giorno che l’esercito iracheno cercherà di riprendersi Mosul.Le donne devono girare accompagnate da un uomo di famiglia, coperte dai piedi al volto, e coperte perfino le mani. Anche i manichini, nei negozi di abbigliamento femminile, portano il velo integrale. Ne spuntano gli occhi di plastica, sbarrati. Per strada le sagome nere delle donne, tutte apparentemente identiche, comunicano angoscia – come fantasmi di un mondo cancellato. L’Is punisce duramente ogni violazione di questa norma. E ancora più duramente punisce l’adulterio, il furto, l’omosessualità. Lapidazioni, amputazioni, e uomini costretti a gettarsi dall’alto degli edifici. E la gente, costretta a stare a guardare, perché impari. La benzina scarseggia, è proibito fare legna abbattendo gli alberi, e anche l’acqua in certe zone manca. La spazzatura non raccolta si allarga nelle strade. Se mai qualcuno avesse ancora la voglia di fare un picnic nei giorni di festa, non può: i picnic sono stati vietati, in quanto "inutili". È stato vietato anche l’uso dei pastelli e dei colori. E quest’ultimo divieto, nella sua assurdità, sembra un marchio: nero è il vessillo del Califfato, nere le "N" araba sulle case deserte dei cristiani, nero il velo che nasconde completamente le donne. Nel regno del nero, come in una favola cupa, sono fuorilegge i colori.I video della Bbc mostrano ancora i "media point", surreali casotti che dispensano i video del regime, e l’innalzarsi delle nuove caserme dell’Is: qui le ruspe lavorano alacremente. Il Califfato è convinto di restare a lungo a Mosul. Eppure proprio la percezione di immobilità, di vita interrotta che viene da questi video ti fa pensare: non durerà per sempre. Non è possibile, perché gli uomini non sono fatti per la morte; le case non sono fatte per essere lasciate incompiute, le scuole non sono fatte per essere vuote. Quei banchi, non possono restare a lungo senza bambini. E i bambini, non possono restare senza pastelli a colori. Tutto ciò appare profondamente anti-umano. E ciò che non è umano alla fine viene rovesciato. Un anno dopo, guardando Mosul oppressa sotto il peso del Califfato, non puoi non dirti, condotto da una logica che ti senti, innata, scritta dentro: no, non può durare per sempre.