Opinioni

Botta e risposta. «Reddito di cittadinanza da riformare». Ma fornisca aiuto ai poveri

Francesco Riccardi sabato 3 dicembre 2022

Caro direttore,

ho conosciuto e apprezzato il Reddito di Inclusione, dove il ruolo dei Servizi comunali era primario. Il passaggio rapido al Rdc a inizio 2019 ci ha subito posto di fronte a una legge pessima già nella sua stesura e non chiara negli obiettivi da perseguire, come pure in merito alla quantità di risorse necessarie. Avvenire ha dato conto dei costi complessivi del Rdc e del fatto che fossero privilegiate le persone sole, privilegiando potenziali elettori, rispetto alle famiglie con figli. Faccio l’esempio, da me conosciuto e “gestito”, in cui il lavoratore di circa 40 anni per motivi vari muore. Eredi moglie e 2-3 figli. La pensione versata agli eredi può essere anche meno di 500 euro mensili complessivi. Ma per favore! Anche considerando che la vedova svolga già un’attività lavorativa (o che la trovi dopo l’evento luttuoso), vogliamo assicurare almeno 500 euro per ogni figlio che deve andare a scuola e crescere? Col Rdc ci si concentra sugli anziani dimenticando che è l’infanzia che ha maggiore bisogno... Come ex operatore sociale seguo ancora con attenzione e apprensione queste palesi contraddizioni, non ho mai archiviato la mia carica critica nella ricerca di maggiore giustizia sociale. Quindi, vorrei tanto che in ogni realtà si facessero emergere le opportunità di lavoro, ma anche le condizioni di impegno per accedervi. Questa è un po’ la scommessa dei nostri tempi. Credo che anche i nostri illustri rappresentanti dovrebbero spingere per moltiplicare confronti e dibattiti nella comunità, mentre nel Paese il dibattito risulta spento. Alcuni decenni fa si mettevano in conto gli “straordinari” necessari per affrontare situazioni complesse; oggi?

Giuseppe Delfrate, Chiari (Bs)


Gentile signor Delfrate, il direttore mi chiede di risponderle e le dico che concordo sui limiti del Reddito di cittadinanza, più volte evidenziati su “Avvenire”. In particolare su tre fronti: la penalizzazione delle famiglie numerose rispetto ai singoli; degli stranieri non residenti in Italia da almeno 10 anni; degli abitanti dei grandi centri del Nord. Il risultato è che il Reddito di cittadinanza non raggiunge tutti i poveri, anzi. Solo il 44% dei nuclei bisognosi ne usufruisce. E, tra le famiglie che ricevono il Rdc, il 36% non è povero ma rientra nei parametri stabiliti per il Rdc. Tuttavia, per quanto preferibile su diversi aspetti strutturali, occorre ricordare che il Reddito di inclusione, in vigore dal dicembre 2017 a marzo 2019 garantiva una copertura davvero minimale, quasi simbolica. Con una dotazione arrivata a 2,1 miliardi di euro era riservato di fatto ai “più poveri tra i poveri assoluti”: appena 358mila famiglie alle quali andava un importo medio di 269 euro. Oggi il Reddito di cittadinanza interessa 1,6 milioni di nuclei, 3,6 milioni di persone, con un’erogazione media di 552 euro al mese per una spesa di 8 miliardi l’anno. Il tutto a fronte di 2,1 milioni di famiglie e 5,6 milioni di persone che l’Istat stima in povertà assoluta. Ordini di grandezza evidentemente assai diversi.

La riforma prospettata dal governo Meloni, con la netta separazione tra assistenza ai poveri non in grado di lavorare e programmi di inclusione per i cosiddetti “occupabili”, può rappresentare l’occasione per migliorare lo strumento che ha scontato una certa ambiguità dei fini. A patto, però, che la riforma non sia finalizzata semplicemente a ottenere risparmi di spesa da destinare altrove, a copertura di condoni o alla riduzione della tassazione degli autonomi, e che l’approccio non sia ideologico, “punitivo” verso chi viene pregiudizialmente considerato “un fannullone”. Per chiarire: bene immaginare corsi di formazione a frequenza obbligatoria per i disoccupati, senza però togliere loro nel frattempo il sostegno per sopravvivere. E soprattutto senza illudersi che bastino 6 mesi di lezioni per riportare nelle aziende persone che non hanno un’occupazione da oltre 3 anni o che addirittura non l’hanno mai avuta o la cui istruzione non è andata oltre la media inferiore. Esperienze molto più consolidate come Garanzia Giovani, o il più recente programma Gol, testimoniano che la percentuale di inserimento al lavoro resta molto bassa e, per i giovani in particolare, nella maggior parte dei casi non si va oltre qualche stage. Il Movimento 5 stelle si illudeva di abolire la povertà grazie a un sussidio. Speriamo che il nuovo governo, abolendo il Reddito di cittadinanza, non si illuda di risolvere il problema della povertà. Finendo invece per abolire solo i poveri. Quelli “occupabili”, ovviamente.