Opinioni

I cori di Cagliari contro Lukaku. Il razzismo è vulnerabile (basta fermare il gioco)

Ferdinando Camon mercoledì 4 settembre 2019

Le agenzie internazionali d’informazione hanno diffuso nel mondo la notizia dei cori razzisti in Italia, domenica scorsa, nella partita Cagliari-Inter, e così nel mondo, in questo tempo di troppe xenofobie, noi siamo, torniamo a essere, tifosi razzisti. Non riusciamo a scrollarci di dosso questa nomea. L’allenatore della nazionale, Roberto Mancini, dice che è un fenomeno residuo: ormai i tifosi razzisti sono un’esigua minoranza, ma non riusciamo a eliminarli del tutto, e non ci riusciremo mai.

Dunque il razzismo è immortale? E cos’è, esattamente, il razzismo? Come si manifesta? Da noi negli stadi si manifesta contro i giocatori neri bravi della squadra avversaria. Per turbarli, per spaventarli, per paralizzarli, per farli giocare male. Far giocar male i giocatori avversari vuol dire non volere il calcio come bel gioco, ma come vittoria.

Non voler che la nostra squadra giochi meglio delle altre, ma che vinca, magari con la violenza e con l’inganno. Il tifo dovrebbe volere sempre che la nostra squadra fosse la migliore, e vincesse meritando. Invece, c’è chi gode se vince anche senza meritare, anzi se vince demeritando gode di più. Perché la vittoria diventa un sopruso sull’avversario, e il sopruso scatena l’euforia ed eccita i cori. Se la squadra avversaria ha un campione di colore, i tifosi razzisti godono se non segna, se si fa male, se viene espulso, se esce in barella.

Se il campione avversario di colore sta per tirare un calcio di rigore, bisogna impedire più che mai che faccia gol, bisogna farlo tremare, spaventarlo, urlargli addosso che è un nero in mezzo ai bianchi, mandargli in tilt il cervello, farlo sbagliare. Se sbaglia il rigore, risate e cori allegri. Se indovina il tiro e fa gol, fischi di disapprovazione, cori di dileggio, ondate di delusione.

Domenica scorsa abbiamo visto tutto questo nella partita Cagliari-Inter. I cori di scherno erano contro l’attaccante dell’Inter appena arrivato, il più pagato, Romelu Lukaku, belga di origini congolesi. C’è già stata in passato una partita Cagliari-Inter in cui i cori razzisti cercavano di paralizzare un altro giocatore nero dell’Inter, Samuel Eto’o, camerunense. In quel caso l’arbitro sospese il gioco per tre minuti. Quando il gioco riprese, i cori cessarono. Ma domenica la partita non è stata interrotta. Dunque la severità verso il razzismo è diminuita? È un errore. Ho scritto allora su questo giornale che l’interruzione della partita fu un evento epocale, faceva capire che se c’è razzismo lo sport si blocca, perché sport e razzismo son due contrari.

Che succede adesso, non è più così, la partita continua? L’unica speranza è che l’arbitro non abbia sentito, ma ad arbitrare una partita ci sono anche degli aiutanti. Potevano segnalarlo. Non si tratta di proteggere il risultato, la vittoria, lo spettacolo, ma lo sport, cacciando la morale del successo con ogni mezzo, anche illecito, e ristabilendo la morale del merito. I cori razzisti nascono da una morale per la quale nello sport è buono tutto ciò che porta al successo, è dannoso tutto ciò che non porta al successo.

Se io terrorizzo un giocatore avversario, faccio bene. Contribuisco alla vittoria della mia squadra, e la vittoria è giusta perché è la 'mia' squadra. I tifosi razzisti bisogna individuarli (non è difficile) ed escluderli. Ritorniamo al vecchio buon principio: cori razzisti, partita sospesa.