Opinioni

La data. Bentornata alla primavera, che non fa più notizia (e non è mai maledetta)

Roberto Beretta giovedì 21 marzo 2024

Campi di giunchiglie fiorite

Niente. Inutile frugare i motori di ricerca, indagare tra i lanci del tg o i titoli di apertura dei quotidiani: ieri la grande notizia sui giornali non c’era. Eppure si tratta di un evento di assoluta importanza, addirittura internazionale (almeno nel nostro emisfero) e nient’affatto «divisivo» – come è uso oggi definire certi fatti che disturbano la quiete benpensante. Forse solo “Popotus”, il nostro settimanale per bambini e ragazzi, e forse proprio perché la materia può interessare soltanto gli spiriti puri, ha avuto il coraggio di ricordarlo a tutta pagina: ieri è iniziata la primavera!

Ancora. Ancora una volta, e senza che nessuno di noi abbia fatto nulla per meritarlo, il ciclo della natura ci ha rassicurato della sua felice continuità: nonostante gli sforzi del cambiamento climatico e del riscaldamento globale per spostarne all’indietro la data, in barba alle guerre che purtroppo non accettano fiori nei loro cannoni. Qualcuno dirà che è poesia, dimenticandosi come i nostri antenati inventarono le feste religiose proprio per esorcizzare la paura che il sole non dovesse mai più uscire dal letargo invernale e augurarsi che madre terra non rifiutasse ai semi il pertugio da cui uscire a nuovo germoglio.

Noi, uomini tecnologici, non abbiamo più di tali preoccupazioni. L’unico campo di cui sembriamo sapere l’esistenza è quello “largo” della politica, o l’altro che garantisce buona presa ai telefonini... Salvo poi prendere atto con allarme dell’ennesima crisi ambientale, farci solleciti per la siccità incombente o alternativamente di fronte a disastrose alluvioni, infine ritrovandosi lungo la strada una colonna di trattori a ricordare l’inevitabile, eterno debito di riconoscenza contratto con le zolle.

Eppure è vero: della primavera non ci felicitiamo più, la diamo troppo per definitivamente acquisita. E non è solamente per il suo ciclico riproporsi, con cui il meccanismo delle stagioni viene relegato tra gli accadimenti scontati, oppure a causa dell’affannosa distrazione che ci vede affondare lo sguardo negli schermi del virtuale persino quando ci scorre davanti un irripetibile istante; di fatto il nativo stupore al cospetto del riprendersi della natura risulta ormai come velato da una tristezza collettiva.

Vorremmo stare dietro al rinnovarsi del mondo così come l’albero sa esporre con fiducia le sue gemme alla luce, e non ce ne sentiamo capaci: ecco forse il problema. Una sorda preoccupazione oggi rinserra il nostro essere popolo e ne reprime troppo spesso l’espandersi in generosa coralità aperta verso tutti: «Non ci sono più le stagioni di una volta» – si ripete –, ma comunque non dovremmo pretendere che gli uomini sapessero restarne sempre all’altezza?

Ora il calendario ci squaderna una lezione semplice, di cui mostrarsi degni: la vita preme per offrirsi di nuovo con la larghezza che le appartiene, accada poi quel che può. La resilienza nei boschi e nei nidi non misura certo le sue forze in base agli algoritmi e si ripresenta invece ogni anno, gratuita e fedelissima affinché ne godiamo: uno spettacolo di bellezza che si rivela nei particolari anche minimi, basta farne tesoro. Bentornata dunque, primavera. Maledetta neanche un po’.