Il primo e più importante passaporto è quello della nostra umanità
Gentile direttore,
le infelici dichiarazioni dell’attuale ministro dell’Interno al cospetto dei morti di migrazione mi confermano in un’amara constatazione: chi ascende a grandi responsabilità quasi sempre si chiude in torri d’avorio che nulla hanno a che fare con la fatica, la sofferenza, la disperazione ma anche la speranza degli esseri umani. Che si sia eredi di ideologie nostalgiche o smarrite (destra e sinistra significano davvero qualcosa o dobbiamo finalmente cercare nuove parole per definire le scelte che facciamo?), dentro la torre si perde il contatto con la carne e il sangue della quotidianità. A cosa può servire un esercizio del potere che giustifica sé stesso e il proprio interessato racconto del mondo? Che attribuisce solo all’altro colpe, responsabilità ed errori? Che agisce come se si fosse all’interno di un gioco di ruolo dove regole, azioni e personaggi possono essere anche affascinanti, ma mai reali? L’unica simulazione necessaria sarebbe quella di spogliarsi dei propri panni e indossare quelli di chi ha perso tutto tranne la speranza. Mettersi nei panni di chi viene usato e abusato dai governi con cui si fanno intese decantate come risolutive. Mettersi nei panni di chi dopo aver vinto un game (ovvero un viaggio della speranza) viene picchiato e torturato da un governo che chiami “amico” perché tu lo hai respinto infrangendo le tue stesse leggi (cosa che accade di nuovo anche in questo Nordest d’Italia). Mettersi nei panni di chi passa la notte all’addiaccio perché è chiusa la stazione dove la mattina dopo vorresti prendere il treno del tuo domani (a Gorizia). Mettersi nei panni di chi non può nemmeno stendere la mano per chiedere aiuto nei centri città e deve spezzarsi la schiena per coltivare le eccellenze italiane (al nord come al sud), rischiando la vita se chiede il rispetto della propria umanità. E l’elenco dei panni da mettersi addosso non finisce certo qui. Panni di tutte le fogge e latitudini. Nostrani ed esotici. Se poi in questi panni non trovassimo un passaporto di carta o plastica dovremmo avere il senso delle proporzioni, anzi, della gerarchia delle fonti. Il primo vero passaporto, quello che precede tutti gli altri per importanza, è quello della nostra umanità. Quello che ci dichiara fratelli tutti e che deve aprire tutte le porte. A cominciare da quella del cuore. Con gratitudine e profonda stima.
Bernardo De Santis, Capriva del Friuli (Go)
Il mestiere di chi fa un giornale, per me, può essere definito come l’impegno a trovare parole e immagini perché i lettori e le lettrici entrino nei fatti, li comprendano e ci riflettano e li riflettano nelle proprie esistenze, contribuendo a cambiare le cose storte e custodire e rafforzare i giusti processi e cammini nella vita delle persone e delle comunità. Sono sempre specialmente felice quando, come oggi, gentile e caro amico, posso specchiarmi pienamente, io, nelle parole di chi mi e ci legge. “Mettermi nei panni dell’altro” è una delle idee chiave della civiltà che ho imparato ad amare e che vorrei aiutare a realizzare per davvero e sempre di più. Grazie di cuore.