Ci sono tre domande, legittime quanto largamente inevase alle quali l’Europa da troppo tempo non sa rispondere: l’occupazione, il bisogno di sicurezza dei cittadini e la saggia gestione dell’immigrazione. Non ci si dovrà stupire se di qui a meno di otto mesi, quando i cittadini dell’Unione Europea saranno chiamati alle urne, si registrerà uno dei più clamorosi boom degli euroscettici, degli ultraxenofobi, dei nostalgici di un’epoca in cui le relazioni fra le nazioni del Vecchio Continente si limitavano a più o meno vantaggiosi scambi commerciali e l’idea di un’Europa unita e coesa albergava nel vasto regno delle utopie. Non ci si dovrà stupire perché i segnali che giungono da ogni contrada d’Europa sono fin d’ora più che eloquenti.La Francia per prima spicca per l’ascesa costante – e per il momento irresistibile – del Front National di Marine Le Pen, che recentemente si è affermato in una consultazione locale nel Sudest, ma che un sondaggio del
Nouvel Observateur attesta, con il 24% delle intenzioni di voto, come il primo partito transalpino, tre punti in più dell’Ump (
Union pour un mouvement populaire, il
rassemblement liberal-cristiano-democratico di Chirac e Sarkozy) e cinque sopra i socialisti di Hollande. Con innegabile astuzia politica, la figlia di Jean-Marie Le Pen si proclama «né di destra né di sinistra», vellicando il disagio sociale per l’aumento della disoccupazione e le misure di austerità messe in campo dal governo socialista e attingendo al vasto repertorio del populismo nell’additare i "peccati capitali" della società: l’euro (sul quale vorrebbe indire un referendum), l’immigrazione irregolare e l’insicurezza dei cittadini. Non è un caso che di fronte a una spesa pubblica pari al 54% del Pil e a un deficit oltre il 4%, sono in parecchi a Londra a scommettere su una devastante uscita francese dall’euro in caso di vittoria elettorale del Front National alle prossime elezioni politiche.Fantapolitica e fantaeconomia? Non secondo il
Telegraph, e nemmeno – ma ufficialmente non lo ammetteranno mai – secondo alcuni membri (tedeschi) della Bce. Del resto, l’uscita dall’euro la sognano e la reclamano senza mezzi termini gli attivisti di
Alternative für Deutschland, formazione dichiaratamente xenofoba che con il 4,8% ha mancato di un soffio l’ingresso al Bundestag alle elezioni federali del 22 settembre scorso, e i cui comizi elettorali d’abitudine si concludono bruciando banconote (false) da 500 euro, a simboleggiare lo spreco del denaro tedesco nell’aiuto ai Paesi in crisi, come la Grecia, Cipro, la Spagna, il Portogallo.Per affinità, anche l’Austria risente del medesimo contagio: con il 21% dei consensi la Fpö di Heinz–Christian Strache, delfino e successore dello scomparso governatore della Carinzia Jörg Haider, è di fatto il terzo partito del Paese grazie a una campagna sostanzialmente anti–islamica e xenofoba camuffata abilmente da venature compassionevoli, e fortemente critica nei confronti dell’euro. In ascesa anche la destra populista di Geert Wilders in Olanda, da sempre in sintonia con la politica dei “conti in ordine” promossa da Angela Merkel, ma soprattutto molto ostile a qualsiasi aiuto da concedere al Mezzogiorno d’Europa e alle sue disinvolte politiche di bilancio. Un’Europa per alcuni matrigna (vedasi il successo di Alba Dorata in Grecia a causa dei tagli imposti dalla trojka), per altri troppo generosa con gli immigrati, come reclama in Norvegia – che pure non fa parte della Ue – il Partito del Progresso, lo stesso in cui militava Anders Breivik, il folle responsabile della strage di Utøya. Un
leitmotiv che risuona anche in Svezia e in Finlandia, dove le formazioni xenofobe e antieuropee accumulano consensi. Sullo sfondo, un referendum sull’Unione Europea – se pure con valore non vincolante – che attende gli inglesi entro il 2017.Tutto ciò è il prezzo della non–Europa, ovvero di un’Europa distratta, assente, egoista. Ed è proprio alle mancate risposte alla domande cruciali dei 500 milioni di cittadini che attinge la protesta e il successo di ogni populismo e di ogni deriva xenofoba e antieuropeista. E parimenti è sempre dal suo cuore nonostante tutto generoso che l’Europa può e deve trovare le risposte giuste. In tempo, però. Perché anche quello oramai scarseggia.