Il presepe segno dei nostri tempi / 2. Il presepe quest'anno è anche dar casa a Daniele
Leggo e rileggo la lettera del Papa Admirabile signum. Francesco ci invita ad allestire il presepe nelle case, nelle chiese, nelle piazze, nelle scuole. Perché il presepe è un 'segno' che, come tutti i segni, dice molto di più della sua ingenua rappresentazione. Per chi si riconosce nella Chiesa cattolica, il bambino deposto nella mangiatoia è il figlio di Dio onnipotente, onniscente, misericordioso e giusto, davanti al quale semplici e saggi cadono in adorazione e sprofondano nello stupore. Giuseppe, l’uomo di cui Dio si è tanto fidato, non è riuscito a trovare per Maria un posto dignitoso. Dio entra in questo mondo, più suo che nostro, nascendo nel fienile di un casolare diroccato. Nessuno si accorge che in quella sorta di stalla abbandonata, fredda e fuori mano, un neonato sta per spaccare la storia in due.
Non so nemmeno lontanamente immaginare i pensieri, le emozioni, i sentimenti della fanciulla di Nazaret in quel momento; so, invece, che cosa proviamo noi poveri e immensi esseri umani, quando ci sentiamo soli, traditi, malati, abbandonati. So quanta fatica fanno gli uomini per continuare a credere che Dio è amore, nel momento in cui tanti uomini, creati a sua immagine, si fanno lupi e azzannano, sbranano, ingoiano i loro fratelli. Misterium iniquitatis. Ogni giorno la fede deve tenere a bada il dubbio. Anche i non credenti, o i diversamente credenti, possono trovare ristoro e riposo nella lettera del Papa. Il presepe è di tutti. Il presepe parla a tutti. Mettiamoci in ascolto. Il 'segno' può essere letto anche laicamente. Il Bambino al freddo e al gelo porta sul suo piccolo cuore tutto il dolore, le angosce, le ma-lattie, gli abbandoni, gli stupri che i bambini di tutto il mondo sono costretti a subire. Per Giuseppe e Maria non c’era una casa disposta a ospitarli. Triste.
Anche oggi i poveri non sempre trovano una casa. Eppure di case ce ne sono tante, e, sovente, sono del tutto vuote. Case vuote, cioè inutili, sprecate. Perché? Come mai? Ascoltate, vi prego, la storia di Daniele. Ha tredici anni, Daniele. E abita ad Arzano, nel Napoletano. Pochi mesi fa, si è ammalato seriamente, di quale malattia potete facilmente immaginare. Oltre ai genitori, ha un fratello e una sorella più grandi, che sono i suoi amici, la sua gioia. La sua abitazione, purtroppo, è così piccola, scomoda, umida, che i genitori, per poterlo curare, si sono trasferiti dalla nonna, lasciando nella vecchia casa i due figlioli più grandicelli. Quando si ammala un bambino si ammala tutta la famiglia. La malattia ha diviso la famiglia, ma i tre fratelli non vogliono separarsi, vogliono rimanere insieme.
È un loro diritto. Ed è un nostro dovere. Daniele ha bisogno di loro, di stare con loro quando la chemioterapia lo accascia, o quando l’operazione che gli ha portato via due costole, a Bologna, lo getta nello sconforto. Fissando il Bambinello diamogli il volto di Daniele. O quello di milioni di bambini che, proprio adesso, mentre sto scrivendo, stanno morendo di freddo, di fame, di stenti, di guerra in tante parti del mondo. O quello dei tanti – purtroppo tantissimi – bambini, spesso appena nati, che adulti crudeli, invece di nutrire e coccolare, stuprano, violentano, barattano. Ha ragione il Papa, ascoltiamolo. Il presepe ci aiuta a riflettere. A nessuno viene chiesto di fare l’impossibile, tutti però siamo chiamati a fare quello che è nelle nostre possibilità. Guardiamoci attorno. La statuetta del bambino che stiamo per deporre nella mangiatoia, tra le nostre mani, si fa carne viva. Diamo una casa al piccolo Daniele. Una casa nella quale potrà allestire il suo presepe e la notte di Natale, felice, deporvi il Bambinello.