Opinioni

Una nuova stagione di diritti. Il peso delle culle vuote non gravi solo sulle donne

Maria Pia Garavaglia giovedì 21 settembre 2023

«Apocalisse demografica » è l’espressione usata a Cernobbio in un dibattito del Forum Ambrosetti per lanciare un preoccupante allarme sulla riduzione della natalità. L’Istat prevede che i residenti in Italia, se non si inverte la tendenza, nel 2050 saranno 54,1 milioni; il rapporto tra giovani e anziani sarà di 1 a 3. In quella sede l’accento era posto sulla «perdita economica pari a un terzo di Pil... l’attuale modello di welfare sarebbe insostenibile» ecc.

Ma le culle vuote rappresentano soprattutto un urgente messaggio da raccogliere: incertezza del futuro, la paura che si riducano le garanzie di tutela sociale e di occupazione. Manca fiducia nella comunità. Per desiderare figli bisogna essere circondati da amore per la vita, da relazioni positive nella società e dal sentimento di voler tramandare la storia familiare e le tradizioni culturali in cui si cresce e si vive. È la maternità il successo della vita contro ogni preoccupazione per il futuro. Negli anni Cinquanta le nascite erano circa un milione l’anno; nel 2023 circa 400.000. La ricchezza delle culle è promessa di sviluppo, di ricchezza per il Paese, di successo nelle attività sempre innovative che esigono tanti vivaci cervelli per il benessere di tutti. La nostra Costituzione ci ha pensato, ma noi siamo smemorati.

La maternità è un valore sociale, la famiglia radice della società, tuttavia sembra che tocchi solo alle donne farsi carico di questi beni comuni: « La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio » (art.29 Cost.). Non sono mancati, soprattutto recentemente, interventi destinati ad aiutare le famiglie con figli. È stato sventato l’orribile ricatto delle dimissioni in bianco, ma è ancora troppo diffusa la pratica di chi per assumere una donna le pone la domanda se ha intenzione di avere figli. Si è notato purtroppo che non è avvenuta nessuna inversione di marcia. Sono certamente utili gli aiuti economici ma non può essere sufficiente una serie di bonus o assegni svincolati da un pensiero socialmente rilevante che riguarda direttamente chi ha la maggior responsabilità, la donna.

Non può toccare a lei risolvere problemi che riguardano una idea di organizzazione sociale. Un imprenditore veneto ha deciso di premiare le sue dipendenti che hanno figli. Si potrebbe imparare. La nostra Costituzione ha visto con lungimiranza i problemi che avrebbero investito la famiglia e ha descritto quali scelte si sarebbero dovute abbracciare. La donna nella famiglia e nel lavoro deve godere parità di diritti «e a parità di lavoro le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore» (art. 37 Cost.): ma non è ancora così. Soprattutto si dichiara solennemente che per la donna «Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione».

Non si realizzano queste condizioni se la carriera viene interrotta, se diminuisce la retribuzione durante il periodo di assenza dal lavoro, se di conseguenza sarà decurtata la pensione. I congedi di maternità e paternità non suppliscono l’assenza di servizi di custodia, socializzazione e istruzione nei primi anni di vita del minore, e là dove esistono sono onerosi. Pare si diffonda la pratica del congelamento degli ovuli per consentire alla donna di non rinunciare – quando sarà, quando potrai? – a generare un figlio, rimandando la maternità a un tempo più propizio, compatibile con la carriera.

Ma la maternità congelata rinvia ad un’età più matura e quindi anche più difficilmente aperta a più figli. Credo sia tempo che le forze politiche affrontino con radicale coerenza con la Costituzione una vertenza unitaria, tempestiva, per razionalizzare tutte le frammentarie provvidenze garantite dalla legislazione vigente. È la stagione del dibattito sul bilancio in Parlamento; almeno questa partita sia solidale e si trovino finanziamenti sufficienti. Con l’eliminazione delle “elemosine” si recuperano risorse per un disegno strutturale. La nostra Costituzione introduce verbi asseverativi: la Repubblica rimuove gli ostacoli, tutela, riconosce i diritti: insomma non concede ma garantisce.

Se non si modifica lo status della donna in funzione della possibile scelta di essere madre, lo Stato, noi tutti, lasciamo sulle spalle solo della donna la responsabilità del “deserto demografico” che invece merita il calore della solidarietà sostanziale della comunità. Significa eliminare le diseguaglianze nel lavoro con stipendi e contributi invariati, durante la gravidanza, e servizi per la famiglia, in assenza dei quali si monetizzano gli impegni per la cura dei figli. Il bilancio dello Stato ha un credito enorme da parte degli evasori delle tasse. Sarebbe bene andare a scovarli, perché le culle vuote sono un danno anche per loro.