Quel corpo seminato. Il Papa e la profezia di don Tonino Bello
«Sono venuto a trovare Pietro», aveva detto don Tonino Bello a Giovanni Paolo II in un giorno romano di molti anni fa. «Un giorno Pietro verrà a trovare te», aveva risposto profeticamente il Papa; «quel giorno è arrivato» ha gridato, infatti, con entusiasmo venerdì scorso chi ha accolto un altro Pietro all'approdo di Alessano. Un giorno di vento, di luce, di solare semplicità che ha visto il passo pudìco di Francesco avvolgersi nel sorriso silenzioso e discreto di quel giardino d’amore che è la tomba di don Tonino. Come un padre che si volge verso un figlio, così è apparso il Pontefice, solerte e grato all'incontro con un vescovo di periferia che mai aveva perduto il volto di un ragazzo “bello” davvero. Una profezia che diventa realtà e che richiama una memoria futura e ancora più antica: quel «giorno del Signore» annunciato nell'ultimo dei libri del Primo Testamento e che troverà, nel Nuovo, compimento, descritto come un giorno in cui: «Il Signore convertirà il cuore dei padri verso i figli» (Malachia 3,24).
Stupendo assistervi dal vivo: vedere un Papa che va da un prete e che ne ripercorre i passi e le parole, che vuole risvegliarne la freschezza, sottolinearne l’importanza, mostrarne l’attualità.
Papa Francesco sembrava davvero Pietro che, anziano, si reca da un vescovo morto da venticinque anni, ma incredibilmente vivente e “giovane” per sempre, per lo struggente entusiasmo spirituale, per l’amore alla vita, per lo splendore della sua gioia evangelica. Un figlio che sembra aver suggerito a suo padre sia la primeva Evangelii gaudium, sia la recente Gaudete et exsultate.
Francesco ha intonato un canto a don Tonino sulla melodia pura delle sue parole, come su di uno spartito tessuto di note tutte citate, facendo propria la “musica” di quel figlio di Puglia con un pudore e una naturalezza disarmanti, in quell'intreccio di relazioni dal profumo divino di cui si nutre la fede cristiana.
Chi conosce lo stile di don Tonino Bello sa che ricordare con un commento quanto egli ha fatto, detto e scritto vuol dire perdere l’incanto della sua testimonianza. Una parola pura, stupenda, colorata, assidua, appassionata e innamorata, elegante, straripante poesia, come raramente la stessa lingua italiana ha potuto trovare declinazione. Con essa don Tonino dava forma alla nettezza della sua denuncia della violenza, dell’ingiustizia, dell’indifferenza, della menzogna e della corruzione; così come, per contro, dava corpo alla bellezza della storia delle persone, con una sensibilità davvero toccante per la sua piena umanità, specialmente sulle curve più oscure delle contrade abitate dai poveri, dai colpiti dal dolore, dagli impotenti e gli innocenti.
Una parola immacolata e straziata di compassione verso le donne, i giovani, i padri senza lavoro, la carne della sua gente di Salento, povera e benedetta. Un dire colmo di echi del dire quotidiano di papa Francesco. L’agire di amicizia verso tutti, gli spazi aperti della sua casa, le membra del suo corpo, i piedi sempre in marcia anche negli ultimi giorni della malattia, tutto è stato, in Tonino Bello, luogo di abbraccio, di ricerca dell’altro, di fame di pace, di sete di Dio. E ogni sguardo sulla miseria umana si traduceva in annuncio di una Croce come «collocazione provvisoria» e di una speranza in cui l’«attendere è l’infinito del verbo amare».
E noi tutti, umanità e popolo in attesa, venerdì scorso ci siamo sentiti felici, pieni, abbiamo ceduto alla spontaneità di un sorriso dinanzi a una Chiesa bella, pulita, appassionata, come una Sposa innamorata fino alle lacrime soltanto del suo Signore. Ci siamo sentiti bene, ci siamo sentiti a casa, dentro una Chiesa che non rigetta nessuno, che vuole amare, abbracciare, riconciliarci tutti. Di una Chiesa «per il mondo », che depone «i segni del potere» per accendersi del «potere dei segni»; una Comunità che non si pone su un piedistallo di giudizio per emettere sentenze di esclusione o di condanna, ma si cinge del grembiule per servire, vale a dire dell’«unico paramento sacro citato nei Vangeli», come ha notato ancora papa Francesco, ricordando uno dei sogni più noti di Tonino Bello. La tomba di don Tonino non è monumentale, non sale verso l’alto ha detto, infine, il Papa, ma è distesa sulla terra. Il suo è un «corpo seminato» per sbocciare come un fiore di fiducia, per aprire una finestra sulle rive del Mediterraneo. Un seme destinato a crescere per trasformare ogni «ferita in feritoia».